Da Trump a Biden, la politica negli USA è in transizione



(Tempo di lettura 12 minuti - 19.11.2020)

Nonostante lo spoglio elettorale abbia determinato la vittoria del candidato democratico Joe Biden alle elezioni presidenziali negli Stati Uniti, Donald Trump non accetta la sconfitta e minaccia azioni legali per ribaltare il risultato della competizione.

Nelle prossime settimane e fino all'investitura ufficiale del nuovo presidente, prevista per il 20 gennaio 2021, si assisterà agli ultimi colpi di coda dell'amministrazione uscente. Si tratta di un fenomeno noto agli analisti e definito "Midnight Ruling", e cioè, quella prassi comune a tutte le amministrazioni uscenti di adottare il maggior numero di provvedimenti nell'ultimo periodo del mandato in modo da ostacolare il successore alla Casa Bianca.

Prima di vedere gli ultimi atti dell'amministrazione guidata dal magnate newyorchese e, al fine di agevolare il lettore nella difficile valutazione del suo mandato, vale la pena tracciare un bilancio di sintesi del governo Trump.

Economia, migrazione e ambiente nell'era Trump

Al di la dello stile politico e comunicativo, aggressivo e a tratti impulsivo, che ha caratterizzato il suo governo e, anche se per buona parte del suo mandato l'economia americana ha espresso parametri positivi, i meriti di Trump nella gestione economica vanno sicuramente ridimensionati.

Infatti, Trump ha ereditato una economia in crescita, una crescita durata fino ai primi mesi del 2019 e bruscamente stroncata dall'impatto della pandemia da Covid-19 ancora in atto, un tema complesso su cui non si ritiene opportuno indagare in questa sede.

Tale tendenza di crescita economica, durata fino alla primavera del 2019, sembrerebbe solo parzialmente correlata, da una parte, alla riduzione dell'imposizione fiscale sulle imprese decisa da Trump, e dall'altra, alla politica monetaria di bassi tassi d'interesse perseguita dalla Federal Reserve, istituzione fortemente influenzata dal potere esecutivo nel periodo in esame.

Anche la politica commerciale, marcatamente protezionista e volta a difendere le industrie americane attraverso dazi, tariffe e mediante la rinegoziazione di accordi commerciali, non appare entusiasmante. Basti pensare alle forti incertezze sull'economia globale che ha causato la guerra commerciale scatenata da Washington contro Pechino.

Per quanto riguarda le politiche migratorie, tra queste si sono contraddistinte: la realizzazione del muro nel confine sud del paese (sono stati ultimati meno di 1000 km dei 4000 del progetto originale), le restrizioni agli accessi negli Stati Uniti, il potenziamento delle forze di polizia di frontiera e, purtroppo, la separazione forzosa di centinaia di minorenni dai loro genitori e parenti una volta intercettati durante il varco illegale delle frontiere.

Purtroppo le politiche per l'ambiente non sono state una priorità dell'amministrazione Trump che si è caratterizzata per una forte spinta verso la deregolamentazione e l'allentamento di quei vincoli posti in precedenza a carico delle industrie allo scopo di tutelare l'ambiente.

A completamento di questa materia, molto vasta e complessa, ci sono il ritiro degli Stati Uniti dall'Accordo di Parigi per il clima (per la riduzione dei gas serra) ed il consenso verso la costruzione di grandi oleodotti dal notevole impatto sul territorio e sulle popolazioni locali e l'autorizzazione di numerose trivellazioni per lo sfruttamento delle risorse del sottosuolo.

La politica estera di Trump: "America first"

S'è vero che ogni presidente USA lascia una impronta personale sul modo di condurre gli affari internazionali e anche vero che, dalla fine della Seconda Guerra Mondiale in poi, la politica estera americana ha espresso dei tratti di continuità, coerenza e condivisione dei principali indirizzi seguiti dai presidenti a prescindere dalla loro estrazione politica.

Il principio che ha guidato Trump nella politica estera è stato quello sintetizzato dallo slogan "America first" e cioè, prima di tutto gli interessi degli Stati Uniti. Nella pratica questo approccio si è tradotto in scetticismo misto a disprezzo e svalutazione dei principali organismi ed istituzioni internazionali come l'UNESCO, l'Organizzazione Mondiale della Sanità, l'Unione Europea, la NATO ed il Consiglio dei Diritti Umani dell'ONU.

Sul piano internazionale il Trumpismo è stato portatore di una abbondante dose di isolazionismo e di una impostazione delle relazioni tra stati basata prevalentemente sulla eccentrica personalità del presidente e sulla sua speciale abilità a chiudere transazioni bilaterali.

L'amministrazione Trump, in politica estera, sembra del tutto carente di una visione complessiva e di ampio respiro capace di prospettare soluzioni di lungo periodo ed in qualche modo condivise da altri attori sulla scena internazionale.

In questi ultimi anni ci sono state delle tensioni, innescate da decisioni unilaterali maturate a Washington come la rescissione dall'accordo sul nucleare con l'Iran e l'eliminazione del responsabile della Guardia Rivoluzionaria iraniana,  generale Qassem Soleimani. Atti come questi restituiscono una immagine inconsueta per gli Stati Uniti, simile a quella di un attore imprevedibile e persino inaffidabile nelle relazioni internazionali.

Da sempre, uno dei pilastri della politica estera americana è quello della diplomazia, un settore in cui l'amministrazione Trump s'è dimostrata carente. La diplomazia va ben oltre la semplice apertura di una ambasciata in un altro paese e si alimenta della volontà e della capacità di negoziare trattati e alleanze strategiche multilaterali.

La diplomazia si nutre di questi profili a cui si affianca l'attitudine ad esercitare una persuasione efficace sulle altre nazioni attraverso l'utilizzo di risorse immateriali come la cultura e la promozione e la diffusione di valori apprezzabili dalle controparti del dialogo internazionale (il c.d. "soft power").

Come ogni potenza mondiale gli USA sono intenzionati a perpetuare la loro influenza, la loro posizione di spicco ed il loro prestigio a livello globale. A quanto pare Trump ha inteso garantire la realizzazione degli interessi americani attraverso strumenti inadeguati come testimoniato dal prevalere di un approccio bilaterale messo in atto non soltanto in ambito economico.

Infatti, in Asia, ad esempio, Trump ha messo in campo una visione assolutamente ristretta della sicurezza internazionale coniugata ad un approccio personalistico nel rapportarsi alla Corea del Nord di Kim Jong-Un, una modalità incapace di cogliere le esigenze di nazioni alleate come il Giappone e la Corea del Sud. 

Al di la di quanto si è fin qui scritto, va riconosciuto come traguardo positivo dell'amministrazione Trump l'aver recentemente favorito l'intesa tra Israele ed Emirati Arabi in virtù della quale questi paesi si muovono verso la piena normalizzazione delle loro relazioni in un ottica di rispetto e riconoscimento reciproco.

In pratica, Israele ha sospeso le annessioni territoriali in Cisgiordania in cambio della pacificazione dei rapporti con gli Emirati Arabi che, si spera, metta in moto un processo che possa in futuro allargarsi fino a comprendere  altri paesi del mondo arabo ed islamico. Sul punto ricordiamo la posizione categorica di Abu Mazen, leader dell'Autorità Palestinese, che ha respinto l'accordo di cui sopra precisando che le autorità emiratine non hanno il diritto di parlare a nome del popolo palestinese.

Finora, sembrerebbe che il Trumpismo in generale, ed in particolare la chiusura verso la libertà degli scambi commerciali, il disinteresse e la disaffezione verso le istituzioni della politica internazionale e verso il sistema dei diritti umani abbiano messo le basi per il declino del prestigio e dell'influenza degli Stati Uniti sulla scena globale.

La presidenza Biden e la transizione verso una nuova era

Come segnalato in apertura, già ora e per i prossimi due mesi, l'amministrazione Trump sta adottando e adotterà misure drastiche con l'intento di ostacolare qualsiasi cambio di rotta da parte del nuovo presidente.

Sono un esempio di questa tendenza l'adozione di un nuovo pacchetto di sanzioni contro l'Iran per rendere difficile a Biden il ripristino del trattato sul nucleare tra Washington e Teheran e l'imposizione di nuove sanzioni contro la Cina che andranno a complicare la già tormentata relazione tra Washington e Pechino. Ancora, particolarmente pressante è la spinta del presidente uscente per confermare Judy Shelton presso la Federal Reserve, una economista con idee radicali che gode dell'approvazione di Trump.

Inoltre, grazie alle ultimissime scelte della Casa Bianca risulterà più difficile per Biden implementare delle politiche per la tutela dell'ambiente. Si veda ad esempio il caso della cessione dei diritti su alcune zone dell'Artic National Wildlife Refuge in Alaska, in forza delle quali le aziende potranno procedere liberamente alle trivellazioni del suolo.

Comunque sia, sul piano interno Biden dovrà fare i conti con un potere legislativo diviso tra un senato a maggioranza del Partito Repubblicano e la camera a maggioranza del Partito Democratico. Alla luce di questa circostanza, e coerentemente con il suo programma, il nuovo presidente degli USA avrà come priorità la costruzione della "Green Economy" ed il miglioramento dei programmi di assistenza sanitaria e di educazione. Come conseguenza di questo indirizzo si prospetta un aumento della spesa pubblica che sarà finanziato da un aumento dell'imposizione fiscale sui profitti delle aziende e dei proprietari con un reddito superiore a 400.000 dollari annui.

Alla luce di quanto fin qui delineato, è ragionevole pensare che Biden darà forma ad una politica estera all'insegna del multilateralismo e della cooperazione con altre nazioni che permetterà all'America di riconquistare un ruolo di prestigio e di leadership sulla scena internazionale, in alternativa all'approccio rinunciatario ed intriso di scetticismo che, come abbiamo visto, ha caratterizzato la presidenza Trump.

Joe Biden è, giustamente, percepito in Europa come un sostenitore dell'alleanza tra gli Stati Uniti ed il vecchio continente ed è quindi assai probabile che tornerà in auge l'asse transatlantico e, di conseguenza, durante il suo mandato, Biden provvederà anche a rafforzare la NATO e le relazioni con l'Unione Europea al fine di ricostruire l'economia duramente colpita dall'emergenza da Covid-19 e per fronteggiare la potenza crescente della Cina, sempre più assertiva sullo scacchiere internazionale. 

Nei tanti settori che compongono la politica estera Trump ha esplicato il suo mandato seguendo una logica assai poco conciliatoria mentre l'intenzione del prossimo inquilino della Casa Bianca è quella di puntare su nuove strategie per affrontare le tante sfide attraverso la cooperazione con i propri alleati.

Molto probabilmente in America Latina si tornerà al processo di disgelo delle relazioni tra USA e Cuba e sarà accantonato l'approccio frontale (e neppure tanto efficace) contro il regime di Maduro privilegiando la collaborazione con altri attori al fine di favorire una evoluzione della situazione largamente condivisa.

Complessivamente l'amministrazione Biden tornerà ad interessarsi alle questioni aperte in tema di diritti umani al fine di accrescere la legittimità degli Stati Uniti agli occhi della comunità internazionale collocando l'America in una posizione competitiva rispetto alla Cina inducendo cosi le nazioni a tornare a privilegiare Washington nelle loro relazioni economiche e politiche.

Le fonti consultate:

Lisa Di Giuseppe: Che cosa sta facendo Trump mentre siamo distratti dal suo circo social

Annalisa Perteghella (a cura di): Trump Tracker: gli USA e il mondo tre anni dopo

Alessandro Albanese Ginammi: La politica estera disordinata di Trump

David Schultz: The Trump Presidency and Foreign Policy

El Pais, AA. VV., Donald Trump: balance político de cuatro años frenéticos

Atlantic Council: Joe Biden just won the presidency: What does that mean for America’s role in the world?

BBC News Mundo: Joe Biden gana las elecciones: ¿qué pasa ahora?

Il Sole 24 ore: Medio Oriente, Israele fa pace con gli Emirati Arabi e rinuncia alla Cisgiordania. Trump: «Intesa storica». Netanyahu: «È un vero accordo di pace»


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