Lo statalismo dominante in Italia ed il miraggio della "privatizzazione" dell'acqua



(Tempo di lettura 10 minuti - 22.04.2020)

Per chi prospetta soluzioni di mercato per accrescere la prosperità collettiva, l'Italia non è certo una realtà culturalmente favorevole. Nel dibattito politico il nemico pubblico numero uno, capro espiatorio di tutti i mali dell'economia e della società, è sempre e comunque un fenomeno dai contorni non sempre definiti in maniera univoca: il "neoliberismo".

Questa percezione della realtà è particolarmente curiosa se si pensa che, secondo la classifica elaborata dal Heritage Foundation per il 2020, basata sugli indici di libertà economica di 180 paesi, l'Italia si colloca nella posizione n° 74, subito dopo il Guatemala e tra i sistemi economici definiti appena "moderatamente liberi". Alla luce di questa modesta posizione sotto il profilo della libertà economica, con un debito pubblico che supera il 130% del Prodotto Interno Lordo (PIL), con una pressione fiscale complessiva che si attesta al 64,8% (la più alta d'Europa) e con una spesa pubblica al 49% del PIL, sembra davvero azzardato inserire il nostro paese tra i campioni della tradizione liberale pro-mercato.

Sembrerebbe possibile sostenere, invece, l'esatto contrario, e cioè, che lo Stato sia un attore dominante e pervasivo dell'economia italiana e che sia in atto una vera e propria tendenza verso un accentuato statalismo. Con il decreto Cura Italia e con la scusa dell'emergenza da Covid-19, Il governo giallorosso ha stanziato ben 500 milioni di euro per la rinazionalizzazione della storica compagnia di bandiera del trasporto aereo. Il governo in carica ci propina cosi un nuovo capitolo della tormentata "telenovela" di cui è protagonista Alitalia che, tra fallimento, privatizzazione, prestiti ponte, salvataggi e commissariamento sopravvive da anni fagocitando, come un vero e proprio buco nero, milioni di euro prelevati coattivamente dalle tasche dei contribuenti italiani.

Entro questa cornice si leva il sipario ed entra in scena lo spettro onnipresente della "privatizzazione" dell'acqua. Se non fosse falso ed intellettualmente disonesto, basterebbe notare che, parlare di acqua privata in Italia è un miraggio, una pura illusione ottica. Nel nostro paese l'acqua è sempre stata, e per sempre sarà una risorsa pubblica. Cosa ben diversa è considerare la gestione dei servizi che compongono il ciclo dell'acqua: dall'approvvigionamento (captazione) alla distribuzione, passando per la gestione della rete fognaria e della depurazione, tutte attività che costituiscono vere e proprie prestazioni e come tali, hanno un costo economico.

Nell'ultima decade del secolo scorso il settore idrico è stato oggetto di timide riforme che aprivano la strada all'ingresso nel comparto, particolarmente bisognoso di investimenti, ai capitali privati (l'obsolescenza delle condutture e degli impianti provoca, in alcuni casi, fino al 51% di perdite della preziosa risorsa). La chiusura culturale della nostra comunità all'applicazione di soluzioni di libero mercato all'economia si è palesata nel 2011 quando 27 milioni di italiani (54% degli aventi diritto), influenzati da una massiccia campagna di disinformazione basata sullo spettro della "privatizzazione" dell'acqua, hanno votato per abrogare una norma che imponeva agli enti territoriali competenti l'obbligo, peraltro flessibile in quanto comportava delle possibilità di deroga, di effettuare una gara ad evidenza pubblica per scegliere il gestore del servizio idrico.

In pratica, il referendum del 2011 ha creato un vuoto normativo lasciando degli spazi di manovra alle Regioni (anche queste soggetti pubblici) a cui spetta la pianificazione ed il controllo delle gestioni che compongono il settore idrico. Nel corso degli anni il settore si è comunque dato delle regole grazie soprattutto all'operato dell'Autorità di Regolazione per Energia, Reti ed Ambiente (ARERA) Questa autorità, pubblica ovviamente, ed indipendente dal governo, procede al controllo e modulazione delle tariffe che vengono addebitate agli utenti per la fruizione del servizio idrico integrato.

L'Authority ha il compito istituzionale di promuovere l'efficienza dei servizi di pubblica utilità, di tutelare gli utenti armonizzando gli obiettivi economico-finanziari degli esercenti con gli obiettivi di carattere generale, sociale e di tutela dell'ambiente. Questo assetto di governance dell'acqua ha consentito di attrarre capitali in un settore come quello idrico, in netto fabbisogno di investimenti per la riqualificazione e lo sviluppo delle infrastrutture. Infatti nel 2013 gli investimenti nel settore ammontavano a 1,130 miliardi di euro mentre, cinque anni dopo, nel 2018 gli stessi erano aumentati fino a toccare i 3,577 miliardi di euro.

Si può anche negare l'evidenza ma, in un contesto di ristrettezza delle finanze pubbliche, gli investimenti privati sono assolutamente necessari e sembra irrazionale la "stigmatizzazione" del privato poiché la remunerazione tramite tariffa dei capitali investiti da questi, passa attraverso il controllo dell'autorità indipendente (ARERA). Fino ad oggi le tariffe del servizio idrico integrato sono state individuate in modo da garantire una congrua remunerazione dei capitali investiti, scoraggiando gli sprechi ed un uso sconsiderato di una risorsa preziosa come l'acqua.

Peraltro, la spesa media delle famiglie italiane per l'acqua corrispondeva nel 2018 a circa 15 euro al mese, un valore di spesa inferiore rispetto a quello di altri servizi pubblici come rifiuti (20 euro/mese), energia elettrica (50 euro/mese) e gas (57 euro/mese). Inoltre la tariffa idrica nel nostro paese è tra le più basse d'Europa (poco più di 2 euro al metro cubo rispetto ai 4 euro della media europea). 

Contro la mistificazione che vorrebbe spacciare la realtà come invasa da un orda di privati pronti a lucrare sfruttando la proprietà dell'acqua ci sono gli evidenti dati dell'esperienza idrica italiana: 41 milioni di italiani (circa il 69% degli utenti) è servito da gestori pubblici. Approssimativamente 18 milioni di italiani (quasi il 30% delle utenze) è servito da società a capitale misto pubblico-privato, dove la partnership privata è di minoranza. In via del tutto residuale, le uniche gestioni del servizio idrico a completo capitale privato, erogano servizi a circa un milione di italiani (meno del 2% della popolazione).

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Lo statalismo dominante in Italia ed il miraggio della "privatizzazione" dell'acqua (Parte II°)

A questa marginale presenza del privato si contrappone una spinta statalista che vorrebbe "collettivizzare" completamente il settore idrico. Si sta qui alludendo progetto di legge all'esame del parlamento e firmato dalla deputata grillina Federica Daga con cui si vorrebbe imporre la gestione del servizio idrico esclusivamente a favore di enti di diritto pubblico. Innanzitutto, notiamo che una simile trasformazione della veste giuridica degli operatori comporterebbe un inevitabile irrigidimento ed una inutile limitazione dell'operatività di tali organismi.

Il disegno di legge Daga vorrebbe inoltre anticipare la scadenza di tutte le concessioni del settore idrico al 31 dicembre 2020 e ciò comporterebbe l'espulsione dei soggetti privati dal settore con conseguente obbligo per lo Stato di corrispondere un indennizzo ai soggetti uscenti che oscilla tra gli 8 ed i 10 miliardi di euro se ci affidiamo alle più rosee stime. Secondo un calcolo alternativo la ripubblicizzazione dei gestori costerebbe allo Stato, cioè ai contribuenti, fino a 15 miliardi di euro. In pratica le soluzioni prospettate dal Movimento 5 stelle in questa proposta di legge, che arriva in parlamento non corredata da studi di settore e, come è stato sottolineato, muove da una impostazione ideologica completamente scollegata dalla realtà, chiuderebbe definitivamente la porta ai preziosi investimenti privati rimettendo il settore alle inefficienti logiche della politica.

Infatti verrebbe meno quella complessa opera di mediazione che da anni ha contribuito a rafforzare l'industria dell'acqua attraverso l'efficientamento dei costi, la trasparenza e l'offerta di un quadro regolatorio stabile capace di attrarre investimenti. In ogni caso oggi la realtà è evidente ad occhio nudo: pubbliche sono le reti, pubblici sono gli impianti, pubblica è la stragrande maggioranza delle gestioni, pubbliche sono le autorità di pianificazione, pubblica è l'autorità di regolazione del settore idrico e pubblica è la risorsa. Vogliamo ancora parlare di "privatizzazione" dell'acqua?

La "collettivizzazione" dell'acqua programmata dai grillini vorrebbe riportare in gioco le dinamiche clientelari ed elettorali della politica persino nella determinazione delle tariffe, funzione che sarebbe riservata al governo mediante una nuova competenza del Ministero dell'Ambiente. Se andrà in porto questa riforma si avranno degli effetti devastanti sul settore idrico e molto probabilmente si tornerà a mantenere in piedi i carrozzoni pubblici con tutte le loro inefficienze che graveranno irrimediabilmente sul bilancio dello Stato e, quindi, sui cittadini. Per questi politici l'esperienza delle aziende municipalizzate che hanno storicamente dominato il panorama dei servizi pubblici locali con i loro bilanci inefficienti e fuori controllo a carico della collettività non ha insegnato nulla. L'importante, sempre e comunque, è poter dare la colpa di tutto al "neoliberismo".

Le fonti consultate:

Heritage Foundation: 2020 Index of Economic Freedom

Milano Finanza: Pressione fiscale totale, Italia prima col 64%

Wall Street Italia: Italia, spesa pubblica al 49,1% del PIL: del 4,5% più alta della mediaUe

Gli Stati Generali: Cosi la “Legge Daga” vuole stravolgere la gestione dell'acqua in Italia

Il Post: Alitalia sarà nazionalizzata

Milano Post: 5 Stelle e Comunismo idrico – Con la scusa della sete globale il M5Salza le tasse sull’acqua

Alfredo De Girolamo: In Italia nell'idrico crescono gli investimenti

Il Sole 24 Ore:

Acqua, non conta la proprietà ma l’efficienza

Acqua, triplicati gli investimenti in infrastrutture ma ora c’è il rischio “ripubblicizzazione”

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Il servizio idrico, la crescita e il rischio stagnazione

L’acqua italiana tra le meno care d’Europa

Istituto Bruno Leoni:

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