Stato Sociale, parassitismo politico e tassazione



(Tempo di lettura 10 minuti - 05.05.2020)

L'impatto sull'economia italiana della crisi causata dal Covid-19 ha cambiato sensibilmente la nostra percezione basata su stime di una crescita economica comunque asfittica per il 2020, ad una previsione di crescita fortemente negativa per il 2021. Mentre tutti i governi preparano delle risposte alla crisi economica e sociale già in atto, il nostro esecutivo si arrampica sugli specchi e confida su misure finanziarie concepite ed elaborate a livello europeo.

Una variabile esterna all'economia, come questa epidemia dalla portata mondiale, giustificherebbe a pieno titolo un intervento dello Stato nell'economia per risollevarne le sorti ed attutire i terribili effetti collaterali sul tessuto sociale e produttivo duramente messo alla prova. Purtroppo, dopo decenni di spesa pubblica sfrenata e fuori controllo, con un debito pubblico che si spinge oltre il 130% del Prodotto Interno Lordo e con una pressione fiscale tra le più alte d'Europa, chi si trova alla guida del paese ha strettissimi spazi di manovra, a meno che non si intenda peggiorare ulteriormente i parametri appena richiamati (ammesso che ciò sia tecnicamente possibile).

Prima o poi, che lo si voglia o no, la politica dovrà fare i conti con un pessimo virus: lo statalismo spregiudicato. Lo statalismo è un fenomeno che si alimenta tramite una imposizione fiscale asfissiante ed il ricorso sistematico all'indebitamento pubblico con cui si coprono le evidenti inefficienze del sistema politico-burocratico a scapito delle generazioni future. 

L'illusione dello Stato del Benessere

Per Welfare State s'intende il complesso di politiche pubbliche attraverso cui uno Stato interviene nell'economia con l'intento di garantire il benessere dei cittadini modificando, in modo deliberato e regolamentato, la distribuzione dei redditi spontaneamente generati dal mercato stesso. Lo Stato assistenziale si basa su una correzione dei risultati dell'economia di mercato che si traduce, molto sinteticamente, nell'istituzione di servizi pubblici, tra cui istruzione e sanità, nella corresponsione di denaro sotto forma di sussidi e nella regolamentazione stringente dell'economia. 

In Italia è a partire dagli anni settanta del novecento che vengono poste le basi del welfare all'italiana, e cioè, di quelle politiche che hanno generato un costante aumento della spesa pubblica. Ad esempio, è del 1969 la Legge Brodolini che introdusse un generoso sistema pensionistico completamente svincolato da quanto effettivamente apportato al sistema dal lavoratore. Risale al 1970 lo Statuto dei Lavoratori, con cui si è data una rigida disciplina al mercato del lavoro. Ancora, nel decennio 1968 - 1978 è stato istituito il Sistema Sanitario Nazionale finanziato per intero dalla leva fiscale e privo di qualsiasi meccanismo di razionalizzazione delle spese sanitarie.

Nel corso degli anni, insieme alla crescita ipertrofica della spesa pubblica, sono cresciuti anche gli sprechi, diffusissimi ancora oggi, per via della spessa stratificazione di interessi per cui, tutti sono aggrappati alla propria fetta di sussidio pubblico. Potrebbe mai essere altrimenti? Politici, dipendenti pubblici a tutti i livelli, sindacalisti, burocrati ed accademici si pongono come veri e propri sacerdoti dell'interventismo pubblico.

A rigore di logica, quale partito o movimento politico potrebbe mai aspirare al potere promuovendo un serio ed efficace ridimensionamento dell'imponente apparato statale? È chiaro che anni di politiche di welfare indiscriminate hanno generato forti aspettative nella popolazione, assuefatta ai sussidi pubblici e convinta che gode di un patrimonio illimitato di diritti a prescindere dalla reale possibilità che questi siano concretamente soddisfatti.

D'altra parte, siete davvero sicuri che in Italia sia effettivamente esiguo il numero di coloro che sfruttano indebitamente e a proprio vantaggio le prestazioni sociali garantite, in teoria, ai soli che ne hanno effettivamente bisogno? Premesso che il Welfare State si è imposto su precedenti forme di assistenza alternative, come il mutuo soccorso e gli enti di assistenza privata, è lecito porsi una domanda: dobbiamo per forza accettare in modo acritico l'esistenza di un assistenzialismo che divora avidamente ingenti risorse?

Fino a quando saremo disposti a tollerare che lo Stato intervenga a disciplinare ogni singolo aspetto delle nostre vite? In primo luogo, la spesa sociale ha un impatto di lungo periodo fortemente negativo sulla crescita economica. D'altra parte sono assai numerose le critiche sotto il profilo etico dato che molti fanno un uso opportunistico dei benefici erogati dallo Stato e da altri enti pubblici con conseguente erosione delle più basilari norme sociali. Inoltre le filosofie liberali hanno ampiamente sottoposto a critiche il modello di stato sociale in quanto riduce notevolmente gli spazi di libertà dei cittadini sottoposti ad una pesante imposizione fiscale necessaria a finanziare una moltitudine di spese e programmi sociali spesso perfettamente inutili.

Dal punto di vista della scienza politica, anticipando il tema centrale del parassitismo politico, è stata evidenziata l'ascesa di gruppi di interesse che si legano ai benefici pubblici con netto indebolimento dell'economia produttiva che è la fonte di cui si alimentano tutti i programmi di welfare. Sembra, invece, che nessuno si sia reso conto che, prima ancora che si possa redistribuire coattivamente qualcosa, la ricchezza deve essere prodotta nell'ambito di un istituzione libera e volontaria che è alla base dell'economia e della cooperazione sociale: il mercato.

Peraltro le logiche redistributive alterano le dinamiche dello sviluppo economico dal momento che le imprese sono incentivate ad assicurarsi le simpatie ed i favori dei governi che hanno in mano, non solo il potere politico, ma anche ingenti risorse. Quando si rafforza il ruolo dello Stato nell'economia si aumenta la competizione dei gruppi di interesse per accaparrarsi provvedimenti e risorse in loro favore e si pongono le basi per il modello noto come "capitalismo di relazione" che nulla ha a che fare con l'implementazione di una vera e propria economia di libero mercato.

È per questi motivi che, anticipando le conclusioni di questo scritto, l'economia dovrebbe essere lasciata il più possibile libera dall'interferenza dello Stato e, in ogni caso, è assolutamente preferibile uno Stato leggero, sano ed efficiente in grado di svolgere in modo corretto un numero ristretto di funzioni.

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Stato Sociale, parassitismo politico e tassazione (Parte II°)

Parassitismo politico, tassazione e redistribuzione

Il vero volto dello Stato contemporaneo è il parassitismo politico. Il regime di welfare state comporta che alcuni gruppi siano legittimati a saccheggiare le risorse prodotte da altri in modo da garantire la costante crescita della burocrazia, infatti, i posti dei dipendenti pubblici sono garantiti a vita a prescindere dal grado di soddisfazione (sarebbe più opportuno dire di "insoddisfazione") dei cittadini e dalle oscillazioni del ciclo economico.

È un dato reale che l'espansione dello Stato fa leva su un sistema coercitivo, quello fiscale. Attraverso l'apparato fiscale si ricavano forzosamente delle risorse con cui si finanziano una marea di sprechi e di servizi pubblici di qualità non proprio eccellente. Il perimetro di ciò che è "pubblico" si espande continuamente e rende sempre più netta la distinzione tra coloro che "pagano le tasse" e coloro che "ricevono le tasse". Tra questi due gruppi si instaura cosi un rapporto parassitario che si nutre anche di corruzione, nepotismo e clientelismo, tutte caratteristiche tipiche dei sistemi burocratici.

È cosi che i rapporti della politica, basati sul comando veicolato da leggi e regolamenti di vario tipo, vanno sempre più a sostituire i rapporti contrattuali basati sulla collaborazione volontaria e reciprocamente vantaggiosa. Si tenga inoltre conto che, ogni volta che lo Stato preleva risorse dalle economie private attraverso la tassazione, buona parte di queste risorse vengono dissipate dai burocrati, un ceto sociale che beneficia direttamente del saccheggio a danno dei ceti produttivi ed è quindi interessato alla massimizzazione della propria rendita parassitaria attraverso maggiore tassazione e più Stato.

Le idee liberali hanno da sempre posto l'accento su i pericoli di una espansione spropositata dello Stato, della tassazione, della regolamentazione e dell'indebitamento pubblico. La redistribuzione, sulla base di una imposizione fiscale fortemente progressiva, è un mezzo perverso utile soprattutto a finanziare una serie crescente di privilegi di cui beneficiano strati parassitari della società. In nome della giustizia sociale si giustifica l'operato di una élite al potere che dispensa favori, monopoli, licenze, nulla osta e provvedimenti e confisca il frutto del lavoro altrui al fine di imporre obbligatoriamente la solidarietà sociale.

La domanda sorge spontanea: può essere considerata moralmente valida un'attività come la solidarietà verso il prossimo quando questa è imposta all'individuo tramite la forza? Quando lo Stato Sociale giunge a maturazione, il numero di coloro che si avvantaggiano dal sistema cresce mentre il numero dei lavoratori, che sono obbligati a finanziare un sistema dominato da inefficienze burocratiche, traffico di influenze e favoritismi, decresce.

Come anticipato, quanto più ampie sono le manovre redistributive più si stringe lo spazio di libertà degli individui. Di fatto l'intervento pubblico in funzione redistributiva scoraggia gli investimenti, la produzione e penalizza chi rende in maniera efficiente beni e servizi alla società. La redistribuzione risulta altresì disincentivante rispetto allo sviluppo del potenziale personale e professionale degli individui: perché mai gli individui dovrebbero provvedere autonomamente e responsabilmente al proprio sostentamento se c'è uno Stato che non fa altro che erogare sussidi?

Infine, nelle società della redistribuzione tutte le forze politiche fanno promesse insostenibili all'elettorato basate su un ulteriore espansione della spesa pubblica rendendo la nostra economia sempre più vulnerabile ed iniqua.

Conclusioni

Considerando che la solidarietà istituzionalizzata dallo Stato del benessere fa leva sull'imposizione fiscale, attività che si basa sulla forza e non sulla libertà, è assolutamente auspicabile, anche se obiettivamente irrealistico, una graduale ma costante contrazione dell'apparato statale, della spesa pubblica e del debito. Sono oggi più che mai necessari recuperi massicci di efficienza presso tutte le pubbliche amministrazioni, la soppressione della pletora di enti ed aziende inutili, l'aumento della produttività delle risorse impiegate e l'abolizione di regolamentazioni che ostacolano il libero esercizio dell'iniziativa economica privata.

È ovvio che nel nostro Paese questa è pura fantascienza, anzi, come è stato opportunamente evidenziato, il romanzo più venduto in Italia è quello di un "capitalismo selvaggio", di un liberismo cattivo che è causa di ogni male possibile ed immaginabile. In verità, negli ultimi quaranta anni, di politiche liberali ne abbiamo viste ben poche, ammesso che realmente ce ne siano state. Non c'è dunque da meravigliarsi se, in questo contesto, la cultura in generale e gli intellettuali in particolare, siano favorevoli ad un modello di società sempre meno libera e comunque caratterizzata dalla massiccia presenza dello Stato che permea ogni aspetto della vita umana a partire, ovviamente, dall'economia.

Le fonti consultate:

Enciclopedia Treccani: Welfare State

Istituto Liberale: Il romanzo che si vende di più è quello del liberismo cattivo. Un liberismo che non c'è mai stato – intervista ad Alberto Mingardi

Alessandro De Nicola: La felicità (a spese altrui) dello statalista

Gustavo De Santis: Cinque motivi di crisi dello stato sociale in Italia

L. Balcerowicz - M. Radzikowski: The case for a targeted criticism of the welfarestate

Alberto Mingardi: Lo que alimenta al estatismo no es solo la ideología

Alberto Benegas Lynch (figlio): Los gobiernos deben actuar, pero el peor virus es elestatismo 

AA. VV., a cura di Tom G. Palmer: Después del estado del bienestar

Libertycorner: 

Peter Sloterdijk: Lo Stato ladro e la sua mano arraffatrice (traduzione di Cristian Merlo)

Michael S. Rozeff: Il potere di tassare è distruttivo (traduzione di Cristian Merlo)

Alessandro Vitale: Il parassitismo politico: la “faccia nascosta” dello Stato moderno,impresa interna e internazionale di potere

AA. VV. : Parassitismo politico e lotta di classe. Per una riscossa dei produttori

Robert Higgs: Redistribuzione? 19 motivi per dire basta! (traduzione di Cristian Merlo)






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