Uno sguardo alla difficile situazione politica del Libano



(Tempo di lettura 4 minuti - 14.09.2020)

Tra interventi di potenze straniere, guerre di varia natura e terrorismo, il Medio Oriente, con la sua estrema volatilità politica, ci ha abituati ai peggiori scenari di crisi. Il Libano, scosso pesantemente lo scorso 6 agosto da una esplosione nella zona portuale di Beirut che ha causato 190 morti e migliaia di feriti, è un buon esempio dei sussulti, delle contraddizioni e delle turbolenze che caratterizzano la vita della regione.

Nel Paese dei Cedri sono presenti ben 18 confessioni religiose e la popolazione complessiva è ripartita quasi alla pari tra cristiani e musulmani. Questa ricchezza di identità religiose e culturali, se è vero che ha reso da sempre il Paese particolarmente affascinante, è anche vero che, è fonte di tensioni nella vita civile e politica.

Infatti il Libano attraversa da mesi una complessa crisi caratterizzata da molteplici sfaccettature e, purtroppo, la classe politica non sembra in grado di offrire ragionevoli vie di uscita per una evoluzione positiva della situazione.

L'assetto politico-istituzionale fondato sulla ripartizione del potere su base confessionale (la Presidenza della Repubblica è di estrazione cristiano maronita, la Presidenza del Parlamento spetta ai musulmani sciiti ed il Primo Ministro è musulmano sunnita) è in evidente difficoltà e sul piano economico la crisi generalizzata rende particolarmente gravosa la vita del cittadino comune. L'economia libanese è al collasso e la classe media, spina dorsale della società, sta scivolando verso la povertà a causa anche di un tasso di inflazione che nel giugno del 2020 ha raggiunto il 90%.

Purtroppo l'architettura istituzionale del Libano non beneficia di una solida coesione sociale ma, anzi, poggia sulla divisione del potere tra le diverse comunità religiose che tendono a competere tra loro per assicurarsi una influenza maggiore sulla vita del Paese.

Un dato messo costantemente in evidenza dagli analisti è il collegamento tra la vita politica interna e le dinamiche geopolitiche internazionali caratterizzate da tensioni e accese rivalità, come ad esempio, tra l'Amministrazione americana di Trump e l'influenza esercitata a livello regionale dall'Iran attraverso i legami con il gruppo fondamentalista sciita di ispirazione iraniana e radicato nel territorio libanese noto con il nome di Hezbollah.

Dalla fine del 2019 si sovrappongono nel Paese dei Cedri diverse emergenze: intense proteste sociali, l'insolvenza dello Stato dichiarata dal governo nel marzo 2020 (default), l'instabilità dei confini con la Siria, le tensioni con Israele e, in ultimo, la diffusione della pandemia da coronavirus.

A queste crisi la politica non riesce a dare delle soluzioni tempestive e a ciò si deve aggiungere tutto il peso di anni di politiche economiche varate dopo la fine della guerra civile libanese (1975-1990) che hanno avuto delle ripercussioni negative sulle classi sociali più deboli per cui le accese proteste hanno preso di mira la classe dirigente, la corruzione generalizzata ed il clientelismo diffuso nella sfera pubblica.

Le manifestazioni di piazza hanno messo in stato di accusa anche i meccanismi di funzionamento del sistema politico che appare, oggi più che mai, carente della necessaria legittimazione e da cui risulta evidente la frattura tra Stato e società civile. Dal canto suo la politica ha assunto una linea di condotta che oscilla tra lo screditare i manifestanti ed il reprimerli senza riuscire in sostanza a neutralizzare le proteste.

Come accennato, l'economia libanese è in forte difficoltà e paga il prezzo di una dipendenza dai settori dell'edilizia e dei servizi bancari e della dollarizzazione del sistema, attuata con l'intenzione di attrarre investimenti esteri. Purtroppo nel corso degli anni la moneta locale si è svalutata e si è vertiginosamente alzato il livello del debito pubblico che ha raggiunto il 150% del PIL.

A partire dal 2015, gli investimenti esteri sono crollati per via del forte calo del prezzo del petrolio e della volontà dei Paesi del Golfo (in particolare Arabia Saudita) di contrastare, attraverso i ritiro dei propri investimenti nel Libano, l'ascesa di Hezbollah. La riduzione degli investimenti esteri ha avuto una ricaduta sulla capacità dei partiti politici di assicurarsi la lealtà dei cittadini attraverso l'erogazione di risorse e finanziamenti. In pratica, sia la rete dell'Islam ortodosso, sunniti, che quella facente capo alla sezione sciita, hanno subito un drastico ridimensionamento delle risorse su cui potevano contare. Nel caso dei sciiti, la guerra in Siria e le nuove sanzioni americane adottate contro Hezbollah dopo il 2018 hanno drenato ingenti risorse.

D'altra parte la dimensione internazionale, specie in relazione ai due stati confinanti, Siria e Israele, ha delle ricadute sulla stabilità interna del Libano. Hezbollah, il "Partito di Dio" è alleato di Damasco e ciò l'ha sensibilmente rafforzato sul piano interno con contestuale aumento degli attriti tra Libano e Israele, rendendo il conflitto armato tra i due paesi vicini uno sbocco possibile nella loro delicata relazione.

Lo scenario fin qui delineato non sembra destinato a migliorare nel breve e medio termine ed è complicato ulteriormente dalla crisi umanitaria dei rifugiati siriani presenti nel territorio libanese (circa un milione di persone) che vivono i maniera precaria in campi inidonei a garantire una presenza in sicurezza anche alla luce delle esigenze sanitarie e di tutela della salute poste dalla diffusione del Covid-19.

Le fonti consultate:

Istituto Per Gli Studi di Politica Internazionale (ISPI):

Ugo Tramballi: Pity the Nation, pietà per il Libano

Daily focus: Libano, qualcosa è cambiato?

Steven A. Cook: The End of Hope in the Middle East

Istituto Affari Internazionali (IAI):

Marina Calculli - Silvia Colombo: 

Il Libano alla prova dei fatti. I nodi delle crisi interne e le sfide della politica estera


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