Andare oltre la retorica del “Bloqueo”: le difficili relazioni tra Stati Uniti e Cuba

 



(Tempo di lettura 10 minuti - 25.04.2021)

Introduzione

Nel 2016, dopo ben 88 anni dall’ultima visita presidenziale del repubblicano Calvin Coolidge nel lontano 1928, il presidente Barack Obama visitava Cuba. In quel momento storico sembrava che le relazioni tra i due paesi stessero per avviarsi lungo un percorso di progressivo disgelo dopo più di 50 anni di tensioni bilaterali e sanzioni economiche imposte dagli Stati Uniti verso l’isola caraibica.

Purtroppo, l’amministrazione di Donald Trump ha invertito di 180° la rotta della politica nordamericana verso l’isola fino al punto di inserire Cuba nella lista nera di paesi che collaborano con il terrorismo internazionale provvedendo, inoltre, ad esercitare una forte pressione, non solo sull’Avana, ma anche sul regime politicamente affine di Nicolas Maduro, attualmente alla guida del Venezuela.

L’amministrazione del presidente Joe Biden ha dato segnali di un possibile disgelo nei rapporti con Cuba ma non è facile decifrare in che misura e con quali tempi si svilupperà questa rinnovata apertura politica, anche perché si tratta di un processo che in ogni caso porterà via molto tempo vista anche la sua complessità in termini giuridico – amministrativi.

Con quanto segue s’intende fornire una panoramica dei rapporti tra la gli USA e Cuba partendo dal nodo centrale dell’embargo che rappresenta una costante nell’ultimo mezzo secolo di storia delle relazioni tra i due paesi. Si procede poi allargando la prospettiva ad una questione imprescindibile ed assolutamente prioritaria: la questione dei diritti umani a Cuba.

Infine si tenterà di ipotizzare quali logiche di mediazione diplomatica possono essere utilizzate per sbloccare le sorti di una relazione problematica e apparentemente senza via d'uscita.

Andare oltre la retorica del “blocco” imperialista

Per la gerontocrazia comunista cubana (da sei decadi trincerata nelle stanze del potere) e per i suoi tanti sostenitori sparsi per il globo, i mali della popolazione cubana possono essere spiegati semplicemente ricorrendo alla narrativa del “Bloqueo” imposto dalla potenza imperialista che dista solo 160 chilometri dalle spiagge dell’isola caraibica.

Va subito chiarito che il termine “Blocco” è assolutamente improprio perché evoca l’immagine di una nazione circondata ed isolata dal resto del mondo mediante l’uso della forza militare. In realtà, quello che è stato formalizzato dagli Stati Uniti nel 1962, in concomitanza con la presidenza di J. F. Kennedy, è stato un “Embargo” e cioè, un pacchetto di sanzioni unilaterali per impedire gli scambi economici, commerciali e finanziari tra le imprese americane e Cuba.

Per meglio comprendere la portata ed il significato di tale embargo è bene ricordare che nel 1959 trionfava a Cuba la rivoluzione castrista che ha rovesciato il governo dittatoriale e filoamericano di Fulgencio Batista.

Tra i primi provvedimenti presi da Fidel Castro vi furono una serie di espropriazioni e nazionalizzazioni, ai danni di centinaia di società e cittadini americani, che penalizzarono gli interessi degli Stati Uniti soprattutto, ma non solo, nell’industria dello zucchero. Ne consegue che le sanzioni degli USA contro Cuba rappresentano una rappresaglia per la lesione degli interessi americani per milioni di dollari e per i mancati indennizzi.

La Cuba guidata da Castro, in un contesto di piena contrapposizione tra i due blocchi che ha caratterizzato la Guerra Fredda, è entrata presto nell’orbita dell’Unione Sovietica ed è quindi ragionevole immaginare come gli Stati Uniti abbiano percepito come una minaccia alla loro sicurezza la presenza di un governo nemico praticamente alle porte di casa. Tale scenario instabile sarebbe poi stato confermato dalla crisi dei missili sovietici dell’ottobre del 1962 quando l’umanità si trovo ad un passo della catastrofe nucleare.

E’ chiaro che, almeno nei primi anni, l’embargo USA assume il significato di contromisura per gli interessi economici lesi dalla rivoluzione castrista, ma si profila anche come risposta ad una entità politica antagonista nell’ambito della Guerra Fredda in uno spazio geopolitico contiguo a quello vitale per i nordamericani e di particolare importanza strategica ed economico commerciale data la prossimità dell’isola cubana al canale di Panama attraverso cui transitano importanti traffici commerciali.

La comunità internazionale è tutta contro l’embargo

Nel corso degli anni l’embargo degli USA contro Cuba non ha riscosso alcun successo nell’ambito delle organizzazioni internazionali ed in particolare presso l’Assemblea Generale delle Nazioni Unite che si è ripetutamente espressa contro le sanzioni unilaterali di Washington e a favore della loro rimozione al fine di ripristinare la piena indipendenza di Cuba.

Anche l’Organizzazione degli Stati Americani, la Commissione Interamericana dei Diritti Umani ed altri enti che danno voce alla comunità internazionale hanno espresso una posizione contraria alle sanzioni statunitensi.

Amnesty International ha chiarito in un suo documento risalente al 2009 i motivi di tale generalizzata avversione della comunità internazionale rispetto alla politica degli USA verso Cuba. La contrarietà deriva dalla consapevolezza che l’embargo ha un impatto negativo sul diritto alla salute, sulle condizioni di vita e sui diritti socio – economici del popolo cubano ed in particolare sulle prestazioni sanitarie e nell’approvvigionamento di medicinali, tecnologie e materiali medico sanitari.

In verità ci sono anche ragioni di natura strettamente giuridica alla base del rigetto generalizzato della politica sanzionatoria americana. Infatti alla luce del diritto internazionale, l’embargo costituisce una forma di indebita interferenza sugli affari interni di Cuba (principio di non intervento) oltre che una violazione della sovranità ed indipendenza di Cuba.

Secondo i principi che informano il diritto internazionale, tutti gli stati hanno pari diritto alla loro piena sovranità a prescindere dal modello economico – sociale che adottano al loro interno per cui gli USA non sarebbero legittimati a sanzionare la diversità politico – ideologica della Cuba socialista.

L’embargo diventa ancora più restrittivo: le leggi Torricelli e Helms – Burton

Come accennato sopra, l’embargo USA si compone di un insieme di atti normativi caratterizzati da molteplici dettagli più o meno tecnici. Qui di seguito si fa riferimento a due importanti leggi che hanno inasprito le sanzioni e che hanno dei risvolti sulle relazioni diplomatiche in esame.

Nel 1992, in un periodo particolarmente difficile per Cuba a causa del recente collasso dell’Unione Sovietica (suo principale partner politico – economico) la stratificazione di norme che costituiscono il corpo sanzionatorio posto in essere dagli Stati Uniti contro Cuba si arricchisce della Legge Torricelli, nota anche come Cuban Democracy Act. Con questo atto Washington intendeva, tra le altre cose, inasprire il regime sanzionatorio trasformandolo da unilaterale a multilaterale, anche al fine di dare un colpo decisivo al regime dei Castro.

Gli Stati Uniti hanno coinvolto altri Stati per restringere le opzioni commerciali e creditizie dell’isola caraibica. La logica sottesa a quella linea politica era di escludere Cuba dal commercio internazionale, creando disincentivi per gli Stati che avessero commerciato con l’Avana: tali Stati avrebbero subito un aumento dei dazi doganali negli scambi con gli USA.

Ancora più importante ai fini della ricostruzione che si sta qui facendo, il Cuban Democracy Act, poneva delle condizioni (ad oggi ancora vigenti) per la rimozione dell’embargo:

·        Realizzazione di elezioni democratiche a Cuba.

·   Ai partiti di opposizione deve essere garantita l’opportunità di prepararsi alle   competizioni elettorali.

·        Cuba deve fare uno sforzo per muoversi verso una economia di libero mercato.

In questo modo gli Stati Uniti vincolano lo scioglimento del problema anche al tema della violazione dei diritti umani a Cuba e a quello della transizione verso la democrazia del regime dei Castro.

Quattro anni dopo, è il momento della legge Helms – Burton (1996) adottata durante la presidenza di Bill Clinton con cui gli USA rafforzano ulteriormente le sanzioni contro il regime cubano mediante delle limitazioni agli aiuti economici e commerciali verso Cuba e attraverso l’isolamento dell’isola caraibica dalle istituzioni finanziarie internazionali. Inoltre dal 1996 in poi il regime sanzionatorio verso Cuba diventa competenza del Congresso degli Stati Uniti che, ancora oggi ha l’ultima parola nella decisione di revocare l’embargo.

Il problema dell’embargo in un’ottica allargata

Se è vero che da anni le condizioni socio – economiche della popolazione cubana non sono certo delle migliori, bisognerebbe individuare con precisione, ammesso che sia possibile, in che misura tali condizioni dipendono effettivamente dall’embargo USA e in che misura queste sono determinate dalle fallimentari politiche attuate dal governo cubano.

Sappiamo per certo che durante il sodalizio con l’Unione Sovietica, l’economia cubana è stata ampiamente sussidiata dalla superpotenza socialista, e ciò ha generato una dannosa relazione di dipendenza dell’isola caraibica, che nei primi anni novanta del secolo scorso è sprofondata in una situazione di emergenza, nota come “Periodo Especial”, all’indomani del crollo sovietico (1989).

Fin dai primi anni del nuovo millennio e grazie soprattutto all’astuzia di Fidel Castro, Cuba ed il Venezuela guidato da Hugo Chavez (1999 – 2013), hanno perfezionato un rapporto di cooperazione politico – economica molto stretto e particolarmente vantaggioso per Cuba, che si è protrae fino ai nostri giorni.

Da quanto appena detto si può intuire che, sebbene l’intenzione di Washington sia quella di minare l’autonomia economica del regime dei Castro, ciò non vuol dire che l’obiettivo sia stato pienamente raggiunto.

Al contrario, dal 1995 Cuba fa parte della Organizzazione Mondiale del Commercio (World Trade Organization – WTO) e, inoltre, secondo The Observatory of Economic Complexity (OEC), autorevole piattaforma sul commercio internazionale, Cuba esercita spazi di manovra sul piano commerciale, può ricevere investimenti esteri e mantiene relazioni commerciali con Cina, Spagna, Olanda, Cipro, Italia, Canada e Russia. Da ciò ne consegue che, malgrado l’embargo, di fatto Cuba non può in alcun modo essere considerata una realtà completamente isolata dal mondo.

Vale la pena sottolineare che il governo cubano ha trovato nell’embargo una giustificazione sempre pronta per il fallimento delle sue politiche economiche centralizzate e repressive che lasciano pochissime libertà ai cittadini.

In questo modo, anche se la classe politica cubana, scarsamente rappresentativa dell’intera popolazione, si perpetua al potere da sessanta anni, essa ha assunto il ruolo di “vittima dell’imperialismo”. Secondo questa logica, Il governo dell’isola, che non rende conto a nessuno del suo operato, non sarebbe responsabile degli esiti nefasti della sua gestione.

Il governo cubano scarica cosi le sue colpe sugli Stati Uniti e, coerentemente con il potere pervasivo dello Stato, proietta verso l’interno e verso l’esterno una immagine alterata della realtà attraverso gli organi di propaganda. Inoltre, grazie a questo vittimismo, e proprio in ragione dell’embargo, Cuba ha ricevuto numerosi prestiti internazionali, talvolta anche per milioni di dollari, che molto spesso non vengono saldati dall’Avana.

Assumendo una prospettiva allargata, la mia impressione è che, anche se l’embargo statunitense fosse rimosso, non è detto che automaticamente si avrebbero delle ricadute positive per la popolazione cubana. Le sorti di dieci milioni di cittadini cubani sono soggette alle decisioni di meno di un milione di persone iscritte al Partito Comunista di Cuba, organo che funge da intermediario tra la cittadinanza ed il resto del mondo e che ha da sempre soffocato l’esercizio delle più basilari libertà e diritti economici, politici, civili e sociali dentro l’isola, privilegiando il suo interesse primario a perpetuarsi alla guida del Paese a tempo indeterminato.

Oltre alla repressione politica, anche per quel che riguarda la sfera economica, sono sempre più gli attivisti, gli artisti, i dissidenti i comunicatori ed i semplici cittadini cubani che, dentro e fuori dell’isola, si espongono alla dura repressione per denunciare come il vero “blocco” sia interno: dal governo verso il popolo cubano. Tale interdizione, questa forma di isolamento, si sostanzia in un complesso di restrizioni, controlli dei prezzi, persecuzioni e proibizioni che incidono negativamente sul commercio, sugli investimenti, sul lavoro e la produzione. Possono la società e l’economia cubana prosperare a queste condizioni?

 

 

La delicata questione dei diritti umani a Cuba

Con il Cuban Democracy Act (1992) il rispetto dei diritti umani e delle libertà civili a Cuba viene messo come condizione necessaria per lo smantellamento del complesso regime sanzionatorio statunitense verso l’isola. Il tema dei diritti umani presenta molteplici sfaccettature e merita anche solo di qualche considerazioni se s’intende abbracciare una prospettiva ampia sulle complesse relazioni tra Stati Uniti e Cuba.

Il tema delle gravi e sistematiche violazioni dei diritti umani a Cuba non è una esclusiva recente di organizzazioni internazionali come Human Rights Watch o Amnesty International, infatti se cercate nella pagina web di Radio Radicale, potrete trovare traccia di interviste e convegni sul punto, a partire dal 1988.

Negli ultimi anni a Cuba, i detenuti per motivi politici si contano a decine e la semplice partecipazione politica, l’espressione delle proprie idee e la critica al governo comportano, per i cittadini comuni, la persecuzione penale per tipologie criminali dai contorni assai vaghi come la “disobbedienza”. I processi penali a Cuba sono privi di garanzie ed i giudici sono apertamente influenzati dal potere esecutivo.

Al fine di dissuadere i cittadini dal partecipare a manifestazioni politiche pacifiche, gli organi della sicurezza di Stato fanno ricorso alle minacce, alle intimidazioni, alle molestie e alla prassi degli arresti arbitrari, anche per poche ore.

La condizione delle carceri cubane è caratterizzata dall’affollamento e dal lavoro forzato dei detenuti fino a dodici ore al giorno. Per i detenuti che dimostrano di essere critici con il governo il sistema riserva un trattamento speciale che consiste nell’isolamento, nelle percosse e nella privazione delle visite dei familiari e dei trattamenti medici.

In passato ho già avuto modo di trattare il tema della mancanza di libertà di espressione a Cuba, quindi, qui mi limito a dare solo dei cenni, vista l’importanza di questa preziosa libertà. Ad oggi le condizioni per la stampa ed il settore della comunicazione a Cuba sono le peggiori in tutta America Latina.

Il governo cubano esercita un controllo quasi totale sui canali d’informazione anche se sopravvivono alcuni giornalisti indipendenti e blogger. Questi sono molto spesso destinatari di provvedimenti di censura e di blocco dei loro siti internet, nonché di molestie contro la loro persona, abusi, violenze fisiche, campagne di delegittimazione, diffamazione e sequestro del loro materiale di lavoro.

Questi sono pochi cenni alle più gravi forme di violazione dei diritti umani negli ultimi anni. Andrebbero tutte approfondite ed integrate, compito particolarmente difficile, data la chiusura del regime castrista e gli ostacoli posti alle organizzazioni che intendono monitorare l’andamento dei diritti umani direttamente sull’isola.

Rimangono fuori dai cenni fatti sopra alcuni punti qualificanti per la situazione dei diritti umani a Cuba come, le precarie condizioni lavorative, la scarsa tutela delle minoranze, con particolare riferimento a quelle definite per identità di genere ed orientamento sessuale, e la condizione degli artisti in generale.

Un’impasse che dura da sessanta anni: quale via di uscita?

Attualmente l’embargo risulta essere un anacronistico retaggio della Guerra Fredda, un sistema sanzionatorio solo parzialmente efficace ed un atto antigiuridico, in quanto in aperto contrasto con importanti norme di diritto internazionale.

Per quanto non spetti agli Stati Uniti la tutela degli interessi dei cittadini cubani, è innegabile che la questione dei diritti umani a Cuba riveste un ruolo di fondamentale importanza ed è strettamente legata alle sorti di un regime sanzionatorio che mi auguro venga rimosso.

La rimozione del embargo è auspicabile anche in termini prettamente economici: la libertà di commercio rappresenta una opportunità per moltissimi operatori economici e per tutte le persone a cui siano garantite le libertà economiche e il diritto alla proprietà privata.

D’altra parte, gli Stati Uniti devono prendere atto della inefficacia di più di 50 anni di embargo contro Cuba. In tutti questi anni Washington non ha recuperato gli indennizzi per gli espropri subiti e la dittatura dei Castro, non solo non è crollata, ma al contrario, ha trovato nella retorica del blocco imperialista una giustificazione per i suoi numerosi fallimenti.

Pretendere di fare leva esclusivamente sulla contrarietà dell’embargo al diritto internazionale al fine di ottenere la sua rimozione mi sembra un approccio debole alla questione, soprattutto se si tiene conto che non esiste ad oggi una autorità sopranazionale che sia in grado di obbligare gli USA a rimuovere l’embargo.

Cosi come risulta estremamente difficile imporre al governo cubano il rispetto di diritti civili e politici sanciti da norme internazionali a cui lo stesso Stato cubano non aderisce o che addirittura esulano completamente dal suo modello di stato totalitario.

Per questi motivi, anche se si tratta di un approccio freddo e connotato da un certo cinismo, la realtà è che, in ultima istanza, le relazioni internazionali si basano sui rapporti di forza ed è la legge del più forte a prevalere. Ne consegue che si potrà uscire dall’impasse di cui abbiamo fin qui scritto, solo nella misura in cui si riuscirà ad instaurare una negoziazione tra le parti in causa in cui si facciano delle concessioni reciproche tenendo conto il peso schiacciante degli USA che ancora oggi sono una potenza mondiale.

A tal riguardo l’amministrazione Biden dovrà fare i conti con la pressione della lobby dei cubani – americani, presente per lo più nello stato della Florida e notoriamente favorevole alla linea dura contro il regime castrista. La comunità cubana in esilio negli Stati Uniti è tendenzialmente timorosa dell’attuale amministrazione democratica in quanto questa è potenzialmente portata ad assumere un atteggiamento conciliatorio con l’Avana.

A ciò si deve aggiungere che, la progressiva rimozione dell’embargo richiede l’intervento decisivo del Congresso americano (potere legislativo) dove i repubblicani faranno il possibile per ostacolare un’evoluzione in tal senso.

Come già ricordato è possibile una apertura dell’amministrazione Biden che probabilmente adotterà delle soluzioni obiettivamente positive per il benessere del popolo cubano e per gli scambi tra le due nazioni.

In primo luogo, alludo alla possibilità che venga rimosso il limite massimo delle rimesse di denaro effettuate dai cubani negli Stati Uniti verso famigliari e amici nell’isola. Si tratta, com’è ben noto, di risorse preziose per il sostentamento di moltissime persone in condizioni economiche precarie a Cuba.

In secondo luogo, potrebbero essere ripristinati i permessi di viaggio per i cittadini americani verso Cuba ciò aumenterebbe gli scambi e l’esposizione dei cubani a modelli politici e culturali alternativi a quello socialista e ciò potrebbe facilitare un cambio nella società cubana.

Purtroppo anche se l’inclinazione di Biden è verso l’apertura delle relazioni con Cuba, diversi analisti sostengono che, il dossier Cuba non figura tra le priorità della politica estera del presidente e, in ogni caso, che l’amministrazione in carica si muoverà molto gradualmente.

Dall’altra parte, nonostante le difficoltà economiche e le complicazioni dovute alla pandemia da Covid – 19, il regime cubano ha assunto una postura poco conciliatoria non incline a fare concessione alcuna su un eventuale tavolo di negoziati. A tal proposito il presidente Miguel Díaz-Canel s’è recentemente dichiarato formalmente aperto al dialogo con gli Stati Uniti purché ciò non comporti dei condizionamenti per Cuba.

Con queste premesse sarà difficile attivare un processo diplomatico di riconciliazione tra le due nazioni che porti alla progressiva rimozione dell’embargo e ad un aumento delle libertà per il popolo cubano. Purtroppo c’è da notare che, se escludiamo le modeste riforme agrarie e al regime delle piccole attività commerciali, il governo cubano non ha apportato significative modifiche al sistema politico, al regime dei diritti civili e politici e alle libertà individuali, neppure in un momento di notevole apertura da parte degli Stati Uniti com’è stato quello della presidenza democratica di Barack Obama.

E’ mia opinione che il popolo cubano meriti un cambio, una svolta verso la libertà. Se l’embargo è un retaggio del passato che non ha senso di essere c’è anche da chiedersi: perché mai dovremmo considerare legittimo un sistema totalitario, guidato da una classe politica che non cede il potere ed interessata esclusivamente al suo perdurare a tempo indefinito alla guida del Paese?

A mio avviso, da un punto di vista strettamente morale sarebbe assolutamente paradossale ammettere che, in virtù della sua sovranità uno Stato, cioè quello cubano, è legittimato a reprimere, censurare e opprimere milioni di persone attraverso una forma di stato totalitaria e che, un altro Stato, e cioè gli Stati Uniti d’America, sono da condannare perché vieta alle proprie imprese di intraprendere scambi commerciale e finanziari con Cuba

Le fonti consultate:

Mamela Fiallo F., El embargo es un Mito: «Cuba es libre de comerciar con cualquier país»

Blanco J. A., Eso de culpar al 'bloqueo' ya no encuentra consumidores en Cuba

Diamond J., 9 claves para entender el embargo a Cuba

Amnesty International, El Embargo Estadouniense Contra Cuba

Menchi P., Cuba – Usa: si attendono le prime mosse di Biden

Sicurezza Internazionale, L’esilio cubano teme che Biden sia troppo accondiscendente con il castrismo

Gamez Torres N., Cuba policy shift ‘not a top priority’ for Biden, White House says

Council on Foreign Relations, U.S.-Cuba Relations

Montaner C. A., Cuba no es prioridad para Biden

Escobar R., ¿Y tú, qué le pides a Biden?

TeleSUR, Presidente Díaz-Canel: El bloqueo carece de justificación política, jurídica y moral

Amnistia Internacional, Cuba

Diaz E., El régimen cubano sigue construyendo hoteles de lujo, en medio de la crisis económica y de la pandemia

Cuban Studies Institute, Will Biden Make Major Changes To U.S. Policy on Cuba?

Cavallini M., Cuba, con la riforma costituzionale muore l’utopia del comunismo ma resta la dittatura

Partito Radicale, Consiglio Dei Diritti Umani Delle Nazioni Unite – Con L’ingresso Di Cina, Russia E Cuba i Paesi Totalitari E Non Democratici Sono La Maggioranza. Gli Usa, Che Hanno Abbandonato Il Consiglio, Rafforzino La “Community Of Democracies”

Freire Terán L. A., El Embargo Impuesto A Cuba Por Los Estados Unidos De Norteamérica Según El Derecho Internacional Público

The Observatory Of Economic Complexity, Cuba

Wikipedia, The United States Embargo Against Cuba

Cruz Rafaela, ¿Y el bloqueo interno para cuándo?

Yoani Sanchez, Sale Castro, queda el castrismo

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

  


 

  

 

 

 

  

 

Post popolari in questo blog

Il riarmo del Giappone ed i delicati equilibri geopolitici in estremo oriente

Hong Kong, verso una nuova ondata di proteste?

Tibet: la dominazione cinese e la dissoluzione di una cultura millenaria