Tibet: la dominazione cinese e la dissoluzione di una cultura millenaria

 



(Tempo di lettura 6 minuti – 16.05.2023)

Per quasi quarant'anni dal 1913 fino alla annessione cinese del 1950, il Tibet è stata di fatto una realtà politicamente indipendente, con tutti gli elementi costitutivi richiesti dal diritto internazionale affinché si potesse parlare di uno “Stato” vero e proprio. Infatti erano presenti un territorio, una popolazione e un governo sovrano capace di condurre una politica estera.

Nel 1951, dopo l'occupazione da parte della Repubblica Popolare Cinese, segui la firma dell'Accordo dei 17 punti con cui si rese ufficiale l'annessione del Tibet alla Cina. Il Tibet avrebbe comunque dovuto beneficiare di alcune tutele in favore del suo sistema politico, della libertà religiosa e dello status del Dalai Lama, tutte promesse disattese da Pechino.

Infatti, non bisogna essere tratti in inganno se la Costituzione cinese garantisce l'autonomia del Tibet poiché si tratta di una menzione puramente nominale, di fatto le facoltà del Tibet sono soggette all'approvazione del potere centrale e al dominio del Partito Comunista Cinese.

Nel 1959 i tibetani si ribellarono alla Cina dando vita ad un sollevamento popolare che provoco migliaia di morti ed il Dalai Lama si diede alla fuga per iniziare il suo lungo esilio in India, dove oggi troviamo la più grande comunità di tibetani con circa 120000 persone.

Per Mao Zedong l'occupazione del Tetto del Mondo era una questione di fondamentale importanza dato che il Tibet, confinando con l'India, Nepal, Buthan e Myanmar, dona profondità strategica alla Cina, requisito funzionale alla sua sicurezza.

Inoltre, i ghiacciai del Tibet e gli altopiani innevati danno vita e alimentano i più importanti corsi d'acqua dell'Asia: lo Yang Tse, il Brahmaputra, il Mekong, l'Indo ed il Fiume Giallo. Come se non bastasse il Tibet è ricco di risorse minerarie tra cui troviamo rame, oro, argento, litio, ferro, piombo, zinco, cadmio e l'uranio tutti minerali essenziali per lo sviluppo economico della Cina.

Non è bastato che nel 1961 fosse approvata presso l'Assemblea Generale delle Nazioni Unite una risoluzione favorevole all'autodeterminazione del popolo tibetano trattandosi di un atto che è rimasto privo di effetti concreti. Anzi nel periodo della Rivoluzione Culturale (1966 – 1976) si susseguono numerose rivolte nella Regione Autonoma del Tibet (RAT) e, tra il 1987 ed il 1989, il governo cinese impose la legge marziale e la questione riguardante l'indipendenza del Tibet divenne una questione attinente i diritti umani e si affermò sulla scena internazionale.

In circa settanta anni di dominazione cinese Pechino ha adottato una serie di politiche repressive con cui soffocare le aspirazioni del Tibet che mirano, se non proprio all'indipendenza dalla Cina, quantomeno ad acquisire una sostanziale autonomia. Nella seconda metà degli anni novanta del secolo scorso è aumentata la repressione dei dissidenti mediante il trasferimento di cinesi nella Regione Autonoma del Tibet. Sono state altresì avviate campagne di rieducazione nei monasteri, la censura dell'informazione procedente dal Tibet e l'imposizione del divieto di esporre le foto del Dalai Lama in pubblico.

Secondo una indagine pubblicata nel 2020 dalla Fondazione Jamestown migliaia di tibetani sono obbligati a lavorare in campi da lavoro.

Le politiche cinesi per distruggere l'identità del popolo tibetano, attaccando i suoi principali pilastri e cioè, la cultura (usi, costumi e tradizioni), la lingua e la religione, mirano al contempo ad inibire il diritto all'autodeterminazione del popolo stesso e si sono susseguite senza soluzione di continuità: vediamone alcune.

In primo luogo, c'è la distruzione di edifici e monumenti religiosi e l'eliminazione del sistema monastico nonché la restrizione delle attività culturali che sono state epurate da qualsiasi contenuto nazionalista.

In secondo luogo, c'è la diffusione della lingua cinese che è diventata dominante in tutti i livelli di insegnamento, nei commerci e nella pubblica amministrazione con lo scopo di eliminare il tibetano.

In terzo luogo abbiamo lo sfruttamento selvaggio della flora e della fauna tibetane con grave deterioro delle terre destinate alla pastorizia che ha innescato dei processi di desertificazione che mettono a rischio la sussistenza delle comunità tibetane nomadi.

In quarto luogo, il potere cinese si è avvalso di un sistema giudiziario non imparziale ed anzi strumentale al soffocamento delle istanze nazionaliste tibetane. Nessuna tutela è offerta ai tibetani che risiedono fuori dalla Regione Autonoma del Tibet in quattro province cinesi e che costituiscono delle esigue minoranze.

Come già accennato in Tibet è in atto, dal 1950, una “cinesizzazione” con trasferimento di cinesi per l'esecuzione di grandi progetti di costruzione e per la fondazione di nuove città.

Vi è poi la politica degli arresti arbitrari che si accompagnano a misure restrittive della libertà personale e condanne politiche contro manifestanti pacifici in base a formule molto elastiche quali “crimini contro la sicurezza dello Stato”. Inoltre sono molto diffuse le esecuzioni arbitrarie ed extragiudiziali e nella migliore delle ipotesi a seguito di processi privi di garanzie. Nelle carceri e negli istituti di pena si fa largo uso di tortura e uccisioni. Nel Tibet si arrestano, processano e condannano attivisti la cui unica colpa è quella di sostenere la causa dei diritti umani.

Per quanto riguarda la libertà di espressione questa è fortemente ristretta: i tibetani che manifestano le loro opinioni politiche sono sottoposti a programmi di rieducazione mediante il lavoro. La libertà politica di riunione pacifica è prontamente inibita dal rapido scioglimento delle assemblee da parte delle autorità.

Secondo una la valutazione data dal Dalai Lama, in tutti questi anni di repressione cinese sono deceduti circa un milione di tibetani. Diversamente secondo una valutazione indipendente l'ammontare delle vittime della dominazione cinese in Tibet si colloca tra le ottantamila e le duecentomila persone.

Se la libertà di espressione e di opinione è fortemente limitata in Tibet, lo è anche la libertà di circolazione: ai tibetani viene negato il rilascio di passaporti ed è spesso impedito loro di viaggiare per farsi curare in altre regioni e soprattutto per pellegrinaggi religiosi.

Attualmente tutti i tibetani che si trovano nella Regione Autonoma del Tibet non possono partecipare politicamente nella formazione del governo del Tibet. Infatti il governo tibetano in esilio, rappresentato da un primo ministro, è eletto democraticamente dalla diaspora dei centocinquantamila tibetani che si trovano in India, Nepal, America ed Europa.

Negli ultimi anni la questione tibetana, simboleggiata in tutta la sua drammaticità dal fenomeno delle autoimmolazioni (145 dal 2008), è stata in parte sostituita nell'interesse della comunità internazionale dalle vicissitudini della etnia degli Uiguri di religione musulmana e di stanza nella zona a nordovest della Cina, anche loro sottoposti a vistose violazioni dei diritti umani da parte delle autorità cinesi.

Se in Tibet si continua di questo passo con la sopraffazione, l'invasione e la feroce repressione antireligiosa la regione ed i suoi abitanti moriranno di una “morte lenta”. In questo senso si è espresso Penpa Tsering leader del governo tibetano in esilio. É per questo motivo doveroso sollecitare e sensibilizzare il più possibile la collettività alla questione tibetana allo scopo di affinare la consapevolezza sul grave rischio di estinzione che corre questa meravigliosa cultura millenaria.



Le fonti consultate:

InsideOver: La questione tibetana: che cos’è e perché è importante

Amnistia Internacional, Persisten las protestas en el Tíbet mientras aumentan las violaciones de derechos humanos

Comision Internacional de Juristas, Tibet: Derechos Humanos y el Imperio del Derecho

Bbc News. 70 años de la ocupación china del Tíbet: cómo se originóel conflicto y cuál es la situación

Semanario Universidad, “No existen los derechos humanos ni en China, ni en Tíbet”

CADAL, La represión en el Tíbet es denunciada en varios informes internacionales

Colarizi A. L'ONU riaccende i riflettori sul tibet

Bitter Winter, Libertà religiosa in Tibet: di male in peggio

Centro Studi Asia, Diritti umani e cultura in Tibet

Amnesty International, Tibet: 50 anni dopo la rivolta del 1959 ancora violazioni dei diritti umani

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