I servizi pubblici locali di rilevanza economica a rete: quale spazio per il libero mercato?
(Tempo di lettura 40 minuti - 13.09.2025)
I
servizi pubblici locali di rilevanza economica a rete: quale spazio per il
libero mercato?
Luis Daniel Angelucci
1. Considerazioni generali
Ai fini del presente
lavoro e salvo quanto sarà precisato, i termini “Servizi Pubblici Locali di
rilevanza economica” e “Servizi di Interesse Economico Generale di
livello locale” sono da intendersi come interscambiabili. Possiamo già
anticipare che uno dei compiti qualificanti di tali tipologie di servizi è
quello di contemperare le speciali missioni di servizio pubblico, che sono
sotto l’influenza della politica che ne determina gli obiettivi, con le norme
sulla concorrenza che promuovono l’apertura dei mercati.
Il tema della
liberalizzazione dei Servizi Pubblici Locali di rilevanza economica a rete
(SPL), inteso come la rimozione delle condizioni
di ordine normativo per l’apertura al mercato dei servizi rivolti al pubblico che
soddisfano bisogni della collettività, occupa uno spazio in cui si intersecano una
pluralità di questioni di diversa natura. In una economia mista come la nostra,
tali questioni interessano, soprattutto, la delicata relazione tra la libera iniziativa economica privata e l’esorbitante
ruolo attivo dello Stato, e delle sue articolazioni territoriali, nel sistema
economico.
S’è vero che la
libertà d’impresa è, almeno in teoria, garantita dalla legge fondamentale, lo
Stato sembrerebbe il dominus dell’economia in quanto giuridicamente legittimato
ad intervenire, sulla base di criteri assai elastici (fini sociali, ambientali
e di utilità generale) attraverso programmi e controlli delle attività
economiche e per mezzo dell’assunzione diretta di servizi pubblici essenziali e
situazioni di monopolio di preminente interesse generale (cfr. artt. 41 e 43
della Costituzione).[1]
In assenza di un
sistema di organizzazione socioeconomica caratterizzato da una netta ed
invalicabile demarcazione tra Stato e mercato, è opinione di chi scrive che, il
bilanciamento tra intervento pubblico, da un lato, e spazio garantito agli
attori privati, dall’altro, può trovare una soluzione più consona con una
concezione aperta e liberale dell’economia laddove ci si trovi in concomitanza
con uno Stato investito da un ruolo limitato alla sola regolazione dei servizi
(promozione della concorrenza e cura dell’efficiente funzionamento dei mercati)
anziché di gestione in prima persona dei medesimi.
Fatte queste premesse, qui si assume una posizione opposta ad un preponderante e indiscriminato intervento pubblico nell’economia[2] e in difesa del libero mercato, facendo leva almeno su due argomenti che fungono da chiavi di lettura delle riflessioni che seguono:
Ogni volta che il pubblico si espande lo fa a detrimento delle libertà individuali. Inoltre, forti dubbi, troppo spesso suffragati dalla realtà, si addensano sotto il profilo dell’efficienza e della qualità dei risultati delle gestioni pubbliche. Queste gestioni, non solo si alimentano voracemente delle risorse prelevate coattivamente dalle tasche dei contribuenti ma, inoltre, agiscono mosse da criteri di natura politica e non strettamente aziendale.
Questa indagine si
propone di offrire una lettura critica della disciplina generale dei SPL di
rilevanza economica a rete (distribuzione dell’energia elettrica e del gas,
servizio idrico integrato, gestione dei rifiuti urbani e trasporto pubblico
locale) cercando di delineare gli spazi oggettivi in cui si muove il principio
della libera concorrenza nel settore in esame e tentando di offrire
risposte ad alcuni dei tanti interrogativi posti dal tema, assumendo una
prospettiva pro – concorrenziale. Restano fuori da questa esposizione i Servizi
Pubblici Locali non a rete (quali impianti sportivi, parcheggi, servizi
cimiteriali e funebri ed il trasporto scolastico) e i SPL privi di rilevanza
economica, e cioè, quei servizi realizzati senza scopo di lucro (i servizi
sociali, culturali e del tempo libero).
Fare luce sul quadro
generale della liberalizzazione delle public utilities nel nostro Paese
non è cosa facile per diversi motivi. In primo luogo, bisogna considerare che
gli enti locali, interpreti di quelle esigenze della collettività che vengono
soddisfatte mediante i SPL, si contano in gran numero e sono sparsi per tutto
il territorio nazionale.
In secondo luogo, i
dati relativi a tali servizi non sono sempre facilmente reperibili. In terzo
luogo, come avremo modo di dimostrare, l’apertura al mercato dei SPL implica un
sensibile mutamento di prospettiva che, a modesto parere di chi scrive, non riguarda
solo la sfera giuridico – economica (assetto organizzativo, regolatorio e
gestionale dei servizi) ma anche, e soprattutto, interessi politici a lungo
stratificati.
Infine, anche il
fatto che la cultura e la politica siano dominate dal generalizzato statalismo,
si ripercuote sulla spontanea accettazione del mercato in un ruolo da
protagonista: nell’ambito dei SPL, la libertà di iniziativa privata non ha vita
facile e, non ci si stancherà mai di affermarlo, incontra notevoli resistenze.
A chiusura di questa
riflessione introduttiva e, a conferma che è possibile realizzare un proficuo
ridimensionamento dell’asfissiante ruolo dello Stato nell’economia locale,
ci sembra quantomeno doveroso aggiungere almeno
dei brevi cenni a due significative esperienze pregresse da assumere come
potenziali modelli quando ci si avvicina al controverso tema che ha per oggetto
il rapporto tra pubblico e privato nell’economia.
Per quanto integrino politiche
economiche di ampio respiro e lontane nel tempo, statisti del calibro di
Margaret Thatcher in Gran Bretagna (1979 – 1990) e di Ronald Reagan negli Stati
Uniti (1981 – 1989) hanno affrontato con ferma determinazione, ed in chiave
liberale, i problemi socioeconomici causati dalla crescita ipertrofica dello
Stato, delle regolamentazioni, della spesa pubblica, delle imposte e dal
generalizzato immobilismo della burocrazia.
S’è vero che tali
esperienze hanno fatto ricorso soprattutto a deregolamentazioni e
privatizzazioni in larga scala, di asset industriali e di partecipazioni
pubbliche, è documentato come, soprattutto in Gran Bretagna, i governi
conservatori della Thatcher hanno impiegato il metodo della liberalizzazione e
dell’outsourcing attraverso procedure concorsuali per ridurre i costi,
aumentare la qualità, la trasparenza, l’efficienza e favorire l’innovazione
tecnologica nell’ambito dei servizi.[3]
Nell’orbita delle
politiche neoliberali degli anni Ottanta del secolo scorso, ruotava la dottrina
del New Public Management, uno stile alternativo di intendere il settore
pubblico che, accanto all’innesto di principi aziendalistici nella pubblica
amministrazione tesi alla misurazione dei risultati, prevedeva anche lo
strumento dell’outsourcing con cui si consentiva ad aziende private di
partecipare a gare di appalto (procedure ad evidenza pubblica) per fornire
servizi pubblici. Il legato neoliberale appena accennato rappresenta un
essenziale punto di riferimento per un approccio critico alla materia dei SPL:
da un punto di vista strettamente economico la gestione di una public
utility da parte di un ente locale è da considerarsi una anomalia in netto
contrasto con il principio di libertà economica.[4]
Infine, un esempio
vincente da tenere sotto osservazione, è rappresentato dalla folgorante impresa,
ancora in pieno sviluppo, del presidente Javier Milei che, tra le tante misure attuate
per emancipare e rilanciare l’economia Argentina (tagli fiscali e dei sussidi,
liberalizzazione dei prezzi, privatizzazione nei settori dell’energia, dei
trasporti ferroviari e autostrade, tanto per citarne alcune) è altresì compreso
espressamente l’ampliamento del mercato anche attraverso la rimozione
dell’obbligo di favorire imprese locali nei contratti di appalto pubblici.[5]
2.
I
Servizi Pubblici Locali e la pesante eredità del passato:
dal socialismo
municipale al timido avvio di un tortuoso processo di riforma
Nel nostro Paese,
l’intervento pubblico nell’economia locale, che si può definire anche come “socialismo
municipale”, è un fenomeno perdurante e dalle radici profonde che risalgono
fino ai primi del Novecento quando fu varata la legge n. 103 del 1903 (legge
Giolitti) con cui si attribuiva ai comuni il potere di assumere l’esercizio
diretto dei pubblici servizi gestiti soprattutto mediante aziende
municipalizzate in regime di sostanziale monopolio. Nei casi in cui l’autorità
locale si rivolgeva ai privati per la gestione del servizio mediante
concessioni, questi erano scelti in via discrezionale senza alcun confronto
concorrenziale.
Tipico del socialismo
municipale è la tendenziale sovrapposizione di funzioni tutte attratte nella
sfera di competenze del soggetto pubblico: proprietà, regolazione, governo e,
naturalmente, anche la gestione del servizio. Al contrario l’esigenza di tutelare
la concorrenza nel settore dei SPL presuppone la necessaria separazione delle
funzioni di indirizzo politico, regolazione e gestione del servizio.
Malgrado l’assenza di
una compiuta legittimazione giuridica dell’azione dei comuni nell’ economia
locale attraverso istituti tipici del diritto privato, quali le società per
azioni (c.d. “azionariato comunale”), di tali società è stato fatto un largo
uso in un’ampia gamma di settori compreso quello della gestione dei SPL a
partire dai primi del Novecento fino alla loro codificazione avvenuta nel 1990.
Il socialismo
municipale, la cui disciplina è stata integrata nel ventennio fascista con il
Regio decreto 15 ottobre 1925, n. 2578, si è protratto fino all’era
repubblicana e già negli anni Sessanta del secolo scorso, le aziende
municipalizzate mostravano evidenti segni di inadeguatezza e limiti per quanto
riguarda l’efficienza e l’economicità della gestione, con una crescita dei
costi e dei disavanzi completamente fuori controllo, dando peraltro prova di
scarsi risultati anche sotto il profilo della qualità dei servizi.[6]
Lo stesso anno di
istituzione dell’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato, autorità di
regolazione indipendente per il corretto funzionamento del mercato a cui
spettano decisioni di natura tecnico – economica (legge n. 287 del 1990), Il
legislatore delle autonomie, con legge n.142 del 1990, ha avuto la premura di riaffermare
le tradizionali forme di gestione a cui gli enti locali potevano fare ricorso
(in economia, mediante concessione a terzi, a mezzo azienda speciale, a mezzo
società per azioni), in via diretta e del tutto discrezionale, per l’erogazione dei SPL, senza nulla aggiungere sul tema
della concorrenza e del mercato.
A nulla è valsa, se
non a legittimare e ad espandere la sfera di azione dei comuni “imprenditori”,
l’introduzione degli strumenti privatistici di natura societaria come forma
gestionale. Inoltre, a conferma del carattere chiuso del sistema dei SPL, per l’affidamento
a terzi mediante concessioni di pubblico servizio gli interpreti erano allora
costretti ad integrare il quadro normativo con il Regio decreto n. 1175 del
1931 che, all’articolo 267, imponeva che il rilascio della concessione fosse
preceduto da uno strumento assolutamente inadatto come l’asta pubblica, fatta
salva la facoltà di procedere attraverso gli espedienti della licitazione e
della trattativa privata in presenza di non ben definite “circostanze
speciali”.
Neppure con
l’approvazione del Testo Unico degli Enti Locali con il Decreto legislativo n.
267 del 2000 veniva introdotto nell’ordinamento nazionale, fin qui vagamente delineato,
qualsivoglia meccanismo di concorrenza per il mercato, mantenendo fermi i
connotati di un modello organizzativo di tipo industriale dominato dal
monopolio pubblico locale.
Tutto ciò era
assolutamente insostenibile se si pensa che già il Trattato istitutivo della
Comunità Economica Europea (1957) aveva come obiettivo l’instaurazione di un
mercato comune concorrenziale (mercato interno dell’Unione europea dal 1993),
coadiuvato dalle fondamentali libertà di circolazione delle persone, delle
merci, dei servizi e dei capitali a cui hanno fatto seguito politiche attuative
tendenti ad integrare l’economia europea (senza prendere posizione rispetto
alla natura pubblica o privata della proprietà degli operatori) e orientate
verso le liberalizzazioni.
Si rendeva così indispensabile
una armonizzazione della disciplina nazionale dei SPL con il diritto
comunitario con l’effettiva introduzione di un regime concorrenziale, una
soluzione che incontrava resistenze in Parlamento ma, soprattutto, nelle
amministrazioni locali che temevano, a ragione, una perdita di controllo di
settori impropriamente soggiogati alla politica locale
L’art. 35 della l. n.
448 del 2001 (legge finanziaria per il 2002), a distanza di quasi un secolo
dalla legge Giolitti, ha finalmente fatto un primo timido tentativo di
eliminare le tradizionali gestioni dirette, sostituendole con affidamenti dei
servizi determinati dal previo esperimento di una procedura competitiva ad
evidenza pubblica (concorrenza “per” il mercato).[7]
Tale riforma, sebbene
aprisse degli spazi verso l’esternalizzazione dei SPL, non prendeva in
considerazione l’eventuale ipotesi di consentire, quando fosse tecnicamente
possibile, la competizione di più imprese contemporaneamente nello stesso
ambiente per fornire servizi essenziali alla collettività (concorrenza “nel”
mercato). La novella formulata dal legislatore nazionale nel 2001, sotto la
forte pressione esercitata dalle procedure d’infrazione avviate dalla
Commissione UE, inaugura un tortuoso processo di trasformazione dell’assetto
normativo dei SPL.
Una precisazione,
tuttavia, è dovuta: ancorché l’art. 35 della legge finanziaria per il 2002
rappresenta un primo passo del diritto interno verso il mercato e, malgrado la
diretta applicabilità di buona parte del diritto euro – unitario (compresa la
giurisprudenza della Corte di giustizia dell’Unione europea), il dominio degli
enti territoriali sui SPL è stato negli anni a seguire solo parzialmente eroso
da un flusso normativo nazionale tendenzialmente favorevole alle istanze del
libero mercato. In realtà, le successive norme nazionali si sono dimostrate
disorganiche, talvolta incoerenti, incerte, dal ritmo altalenante ed hanno
quindi incoraggiato comportamenti fuori dalle regole del mercato. Inoltre, le
libertà economiche a livello locale, quando non ostacolate da esplicite
barriere legali, hanno praticamente da sempre e fino ad oggi, incontrato le
forti resistenze della politica, della burocrazia e degli interessi
clientelari, con tutte le disastrose conseguenze che ciò comporta per i
cittadini nella loro duplice veste di contribuenti ed utenti dei pubblici
servizi.
L’instabilità della
cornice normativa la si desume anche dalla l. n. 326 del 2003 con cui si
realizzava già la prima “riforma della riforma” con cui veniva cristallizzato
nell’ordinamento nazionale l’istituto di derivazione europea dell’in
house providing. Se da un lato la giurisprudenza euro – unitaria ha
contribuito a fissare i limiti operativi di tale modello organizzativo, gli
interventi della giurisdizione con sede in Lussemburgo hanno anche finito per
legittimarlo come vera e propria eccezione alla concorrenza a salvaguardia
del principio di autoorganizzazione delle autorità amministrative. Per
questo motivo, gli affidamenti “in house” rappresentano una via di
fuga verso il passato che, secondo una prospettiva liberale dell’economia, va disapprovata:
quando l’opzione dell’amministrazione ricade sull’autoproduzione del servizio,
ciò comporta automaticamente l’esclusione degli operatori privati che
potrebbero apportare tutta la loro esperienza, le risorse e le capacità
organizzative per la fornitura del servizio pubblico. A ciò si deve
aggiungere che, a nostro avviso, sembra più equo e sostenibile il profitto di
un soggetto privato, che andrebbe comunque ad operare in un contesto regolato,
anziché una macroscopica inefficienza pubblica. L’in house providing è
da considerarsi una porta aperta al potere degli enti locali che vogliano
conferire l’erogazione del servizio a società a capitale interamente pubblico,
anche se ciò, fortunatamente, incontra dei limiti.
Invero, il modello
in house è legittimo a patto che l’ente titolare del capitale
sociale eserciti sulla società un controllo analogo a quello esercitato sui
propri servizi e che tale società realizzi la parte più importante della
propria attività con l’ente o gli enti pubblici che esercitano il controllo.
La portata e le condizioni poste per il legittimo ricorso all’in house
providing è senza dubbio uno dei fattori determinanti degli equilibri tra
il ruolo dell’amministrazione locale e quello del mercato nell’ambito dei SPL.
È interessante notare
come, tra il 2008 ed il 2010 erano stati fatti passi importanti nella direzione
di un approccio che combinava la privatizzazione/esternalizzazione delle
attività di gestione con lo strumento di partenariato pubblico – privato attraverso
le società miste dei SPL, con contestuale restringimento del ricorso
all’autoproduzione del servizio pubblico (l’istituto dell’in house providing
veniva considerato come strumento residuale, si veda in proposito l'art. 23-bis
- Servizi pubblici locali di rilevanza economica – del decreto-legge 25 giugno
2008, n. 112). Sorprendentemente, e a conferma di quanta diffidenza incontrino
le ragioni del libero mercato nel nostro Paese, le norme sinteticamente
richiamate sono state travolte dalla consultazione referendaria del giugno
2011.[8]
L’affannosa ricerca
di un impianto normativo stabile per i SPL è culminata, circa venti anni dopo
la legge finanziaria del 2002, con l’approvazione del Decreto legislativo.
n. 201 del 2022 i cui principali istituti saranno oggetto di una panoramica
generale nella sezione successiva del presente lavoro.
3.
La
disciplina dei SPL di rilevanza economica a rete dettata dal Testo Unico dei
Servizi Pubblici Locali
È ad oggi innegabile
che le public utilities, oltre a quella conflittualità sostanziale tra
le diverse impostazioni e definizioni dei ruoli tra pubblico e privato,
principale oggetto della presente disamina, esprimono una rilevanza centrale
per la qualità della vita e per il benessere dei cittadini, oltre che per la
competitività e la crescita del sistema economico. Da qui la necessità di
giungere ad un saldo ed organico quadro normativo della materia. Indubbiamente,
l’impegno preso dal governo Draghi (in carica dal 13 febbraio 2021 al 22
ottobre 2022) con la Commissione europea, nell’ambito del Piano Nazionale di
Ripresa e Resilienza (PNRR), ha dato una spinta notevole all’approvazione, da
parte del governo Meloni, del decreto legislativo. n. 201 del 2022 sul
riordino della disciplina dei servizi pubblici locali di rilevanza economica (“TUSPL”
oppure “il Decreto") con cui si è data attuazione alla delega
conferita dall'articolo 8 della legge n. 118/2022 (Legge annuale per il mercato
e la concorrenza 2021).[9]
Va chiarito fin da
subito che, il Decreto di riordino è minato da soluzioni di compromesso e
scelte normative che sbarrano la strada alla piena realizzazione delle ragioni
della libera iniziativa economica e del mercato nei SPL. Malgrado qualche
aspetto positivo non siamo affatto di fronte a quella svolta decisiva verso il
mercato di cui tanto bisogno ha il settore dei SPL.
L’impianto normativo del TUSPL si compone di n.39
articoli distribuiti tra i seguenti titoli:
·
Titolo I –
Principi generali, ambito di applicazione e rapporti con le discipline di
settore.
·
Titolo II – Organizzazione
e riparto delle funzioni in materia di servizi pubblici locali.
·
Titolo III – Istituzione
e organizzazione dei servizi pubblici locali di rilevanza economica.
·
Titolo IV –
Disciplina delle reti, degli impianti e delle altre dotazioni patrimoniali
·
Titolo V –
Regolazione del rapporto di pubblico servizio, vigilanza e tutela dell’utenza.
·
Titolo VI – Disposizioni
finali.
Con le pagine a
seguire si procederà, mantenendo sempre fede alla sostanza del dettato
normativo, a semplificare, per quanto possibile, i termini per agevolare la
comprensione delle singole disposizioni. Mediante il Decreto si è data una
disciplina generale dei servizi di interesse economico generale (SIEG)
locali.
Si tratta di una
disciplina minuziosa, a tratti anche fin troppo dettagliata e complessa,
dell’istituzione, organizzazione e gestione di quei servizi, previsti per legge
o che gli enti locali ritengono necessari per soddisfare i bisogni delle
comunità locali, in modo da garantire l’omogeneità dello sviluppo e la coesione
sociale. I SPL integrano i servizi erogati (o suscettibili di essere
erogati) dietro corrispettivo economico su un mercato e che non sarebbero
svolti senza un intervento pubblico o sarebbero svolti a condizioni
differenti in termini di:
- 1.
Accessibilità
fisica ed economica.
- 2.
Continuità.
- 3.
Non
discriminazione.
- 4.
Qualità e
sicurezza.
Come si può notare,
la definizione offerta dal Decreto di riordino (art, 2 lett. c), salda
l’esistenza stessa e i connotati qualificanti del servizio pubblico locale alla
presunzione che l’intervento pubblico sia determinante per lo svolgimento
delle attività in cui esso si sostanzia. Tutto ciò comporta una impostazione
fortemente orientata verso il soggetto pubblico che spazia dalla
definizione generale alla nascita del servizio pubblico locale ed è coerente
con l’impianto che rimette nelle mani delle autorità locali la decisione
discrezionale di istituire servizi di interesse economico generale locali.
Tale decisione, va sottolineato, si basa su una attività amministrativa di tipo
istruttorio a carico dell’ente locale che dovrebbe, responsabilmente
eseguire un rigoroso confronto tra le diverse soluzioni possibili e da
cui deve risultare, senza dubbio alcuno, il fallimento del mercato nel
servire le esigenze della comunità locale.
il Decreto di
riordino (art. 1), ha per oggetto tutti i principi necessari per raggiungere e
mantenere un alto livello di qualità, sicurezza e accessibilità, la parità di
trattamento nell’accesso universale e i diritti dei cittadini e degli utenti.
Ancora più interessante, almeno dalla nostra prospettiva, è che il raggio
d’azione del Decreto assicura esplicitamente la tutela e la promozione della
concorrenza, la libertà di stabilimento e la “libertà di prestazione
dei servizi per gli operatori economici” interessati alla gestione di
servizi di interesse economico generale a livello locale. Questo dovrebbe
essere il fulcro dell’intera normativa in esame dove, purtroppo, si
riversano tanti altri valori che tendono a frenare e diluire lo slancio del
mercato.
L’articolo 3, primo
comma, dispone che i servizi di interesse economico generale di livello
locale rispondono alle esigenze della comunità di riferimento e alla
soddisfazione dei bisogni dei cittadini e degli utenti nel rispetto dei principi
di sussidiarietà (misura dell’indipendenza dell’ente locale dal potere
centrale) e proporzionalità (esercizio del potere in maniera adeguata
alle circostanze di fatto e agli interessi coinvolti dall’azione
amministrativa). Il secondo comma, invece, introduce tre momenti
fondamentali dei servizi pubblici di interesse economico generale di
livello locale: l’istituzione, la regolazione e la gestione
che devono rispondere ai seguenti principi:
1.
Concorrenza
2.
Sussidiarietà (anche orizzontale)
3.
Efficienza
nella gestione
4.
Efficacia nella soddisfazione dei bisogni dei cittadini
5.
Sviluppo
sostenibile
6.
Produzione di
servizi quantitativamente e qualitativamente adeguati
7.
Applicazione di tariffe
orientate a costi efficienti
8.
Promozione di investimenti
in innovazione tecnologica
9.
Proporzionalità e
adeguatezza della durata
10.
Trasparenza,
sulle scelte compiute dalle amministrazioni e sui risultati delle
gestioni
L’ambito di
applicazione del decreto legislativo n. 201 del 2022 si estende a tutti i SIEG
prestati a livello locale e comporta l’integrazione delle normative di settore
fino a prevalere su di esse a meno che non sia disposto diversamente. Tra le
disposizioni finali, il Decreto detta le norme di coordinamento tra la
disciplina generale e quelle settoriali nelle materie del trasporto
pubblico locale (art. 32), del servizio idrico e della gestione dei rifiuti
(art. 33) e, infine, della distribuzione dell’energia elettrica e del gas
naturale (art. 35).
Altra definizione
importante, in quanto completa l’oggetto della presente indagine, è quella di servizi
pubblici locali a rete e cioè, i servizi che sono suscettibili di essere
organizzati tramite reti strutturali o collegamenti funzionali necessari tra le
sedi di produzione o di svolgimento della prestazione oggetto di servizio,
sottoposti a regolazione ad opera di un’autorità indipendente, art. 2, lett.
d). Il punto si collega alla tematica di ampio respiro che riguarda la
necessità di garantire l’accesso dei gestori dei servizi a rete alle c. d. essential
facilities, ossia a quelle infrastrutture necessarie per lo svolgimento dei
SPL (si veda sotto, paragrafo 3.2).
Un tema centrale nei
dibattiti sui servizi pubblici locali è quello della necessità di rimodulare
l’offerta dei servizi su ambiti territoriali che vadano oltre i confini del
singolo ente locale in modo da ottenere un contenimento dei costi dettato anche
(ma non solo) dalla riduzione del numero di procedure da espletare per
l’aggiudicazione dei contratti di servizio.
Per ovviare
all’eccessiva e generalizzata frammentazione dei bacini di utenza dei SPL,
l’art. 5 del TUSPL prevede alcuni meccanismi di incentivazione delle
aggregazioni a più livelli, rivolti a diversi enti territoriali. A livello
ministeriale sono stabilite le misure incentivanti in favore degli enti
locali che aderiscono alle riorganizzazioni e aggregazioni descritte qui di
seguito.
Alle regioni
spetta il compito di incentivare gli enti locali alla riorganizzazione
degli ambiti o bacini di riferimento dei SPL, anche tramite aggregazioni
volontarie, “preferibilmente” su scala regionale o comunque in modo da
consentire economie di scala (riduzione dei costi e aumento
dell’efficienza legata ad un maggior volume della produzione) o di scopo
(risparmio derivante dalla produzione congiunta di prodotti diversi la cui
produzione viene unificata in un unico impianto per ridurre i costi). Alle province
spetta l’esercizio di funzioni di supporto tecnico – amministrativo e
coordinamento in relazione ai provvedimenti e alle attività nella materia dei
SPL.
A livello comunale, il primo meccanismo di raccordo prevede la
possibilità che il comune capoluogo possa essere delegato dai comuni compresi
nella città metropolitana ad esercitare le funzioni comunali in materia di SPL.
È
sempre al livello della città
metropolitana che viene potenziata la gestione integrata anche in relazione
alla realizzazione e gestione delle reti e degli impianti funzionali
all’erogazione del servizio. Malgrado si tratti di un aspetto di primordiale
importanza, il nodo dell’esigenza di dilatare l’estensione territoriale
dell’erogazione dei SPL non sembra possa essere sciolto efficacemente dalle
disposizioni illustrate dal momento che esse contengono delle mere esortazioni
e non obblighi capaci di determinare in maniera decisiva i comportamenti
degli enti territoriali in tema di bacini di servizio.
L’articolo 6, primo
comma del Decreto, dopo aver affermato le competenze delle autorità
nazionali di regolazione (profili economici, tariffari e qualitativi), a
livello locale ha giustamente introdotto il principio di separazione delle
funzioni di regolazione, indirizzo e controllo, da un lato, e quella di gestione
dei SPL a rete dall’altro: le funzioni sono da intendersi distinte e si
esercitano separatamente. Il corollario di tale prescrizione è che gli enti di
governo dell’ambito o le Autorità di regolazione e controllo dei SPL non
possono partecipare (in via diretta o indiretta) a soggetti incaricati della
gestione del servizio.
Inoltre, in omaggio al
principio di separazione delle funzioni vengono introdotte una serie di
cause di incompatibilità e di inconferibilità tra soggetti a cui spettano
funzioni di regolazione e soggetti incaricati della gestione del servizio.
1.
Incompatibilità. Nel caso in cui un ente locale eserciti funzioni
regolatorie assuma anche la gestione del servizio: le strutture, i servizi,
gli uffici e le unità organizzative dell’ente, i loro dirigenti e dipendenti
preposti alle funzioni di regolazione non possono svolgere alcun compito
relativo all’affidamento e alla gestione.
2.
Inconferibilità. Non possono essere conferiti incarichi professionali
di amministrazione o di controllo societario, né incarichi inerenti alla
gestione del servizio:
a.
Ai componenti di
organi di indirizzo politico, ai dirigenti e ai responsabili dell’ente
competente all’organizzazione, regolazione, vigilanza e controllo.
b.
Ai componenti di
organi di indirizzo politico di ogni altro organismo che espleti funzioni di
stazione appaltante.
c.
Ai consulenti per
l’organizzazione o regolazione del servizio.
Il messaggio è chiaro
e veicola un principio fondamentale che dovrebbe essere rispettato
rigorosamente se non si vuole rendere vano l’intero riordino: chi regola e
chi è titolare di funzioni di indirizzo politico non deve essere attivo nella
gestione dei servizi pubblici locali.
È di notevole
importanza l’esercizio della funzione regolatoria in vista dei momenti
determinanti di concepimento e sviluppo dei servizi pubblici, infatti, le autorità
di regolazione nei SPL a rete, oltre a predisporre schemi di bandi di gara
e schemi di contratto tipo, individuano, per i loro ambiti di competenza, i
costi di riferimento dei servizi, lo schema tipo di piano economico –
finanziario e indicatori e livelli minimi di qualità dei servizi anche ai fini
dei seguenti atti:
1.
Istruttoria
finalizzata all’istituzione di un nuovo SIEG di livello locale (art. 10, comma
4).
2.
Valutazione
finalizzata alla scelta della modalità di gestione (art. 14 comma 2).
3.
Deliberazione di
affidamento in house del servizio (art. 17 comma 2).
Tuttavia, nell’ambito
delle competenze che afferiscono alla sfera pubblica non troviamo esclusivamente
quelle di natura regolatoria, difatti, gli enti locali, non solo assicurano la
prestazione dei servizi di interesse economico generale di livello locale ad
essi attribuiti dalla legge ma, hanno anche un ruolo centrale contraddistinto dal
potere, ad alto contenuto politico, di istituire SIEG, sempre di livello locale,
che ritengono necessari per assicurare la soddisfazione dei bisogni delle
comunità che rappresentano.
Questo ruolo
cruciale degli enti locali nella genesi del SPL e nel soddisfacimento dei
bisogni della comunità va coniugato con l’espresso richiamo al principio di
sussidiarietà orizzontale che impone, per la realizzazione dell’interesse
generale, che si instaurino dei rapporti tra soggetti pubblici e privati
(cittadini e imprese).
A chiusura dell’art.
10 del Decreto (4° comma), troviamo l’onere istruttorio, che grava
sull’ente locale che abbia intenzione di istituire un SIEG: in sostanza l’ente
deve procedere ad un confronto tra le diverse soluzioni possibili da cui
risulti che la prestazione dei servizi da parte delle imprese liberamente operanti
nel mercato è inidonea a garantire il soddisfacimento dei bisogni delle
comunità locali.
Con la deliberazione
di istituzione del servizio pubblico locale si fa un rendiconto degli esiti
dell’istruttoria da cui risulta la necessità del servizio e si verifica
se la prestazione del servizio può essere assicurata attraverso l’imposizione
di obblighi di servizio pubblico a carico di uno o più operatori senza
limitare il numero di soggetti abilitati ad operare sul mercato. Anche di
tale accertamento si da conto nella delibera di istituzione del servizio
precisando le eventuali compensazioni economiche (cfr. art. 10, comma 5 e art.
12).
Un grado di intensità
maggiore dell’intervento delle autorità locali nell’economia, rispetto alla
semplice imposizione di obblighi di servizio pubblico, si ha nella forma del mantenimento
di diritti speciali o esclusivi che sono ammessi soltanto:
1.
Se sono in
conformità al diritto dell’Unione europea.
2.
Se sono
indispensabili all’adempimento della funzione affidata al gestore del SPL.
3.
Se non ci sono
misure meno restrittive della libertà d’impresa.
4.
Sulla base di
un’adeguata analisi e una valutazione economica a cura dell’ente locale
mediante la deliberazione di istituzione del servizio (art. 10, comma 5) in cui
si da conto della necessità di attribuire i diritti speciali o esclusivi.
3.1 La scelta
del modello di gestione dei SPL con particolare attenzione agli affidamenti in
house
Per quanto riguarda
il delicato tema della scelta della modalità di gestione del servizio pubblico
locale, l’articolo 14, primo comma, del Decreto legislativo n. 201/2022, invita
a tener conto del principio di autonomia nell’organizzazione dei servizi,
opportunamente coniugato con i principi generali del servizio pubblico locale
di cui all’articolo 3, primo fra tutti il principio di concorrenza (vedi
sopra). Alla luce di tali principi, nelle ipotesi in cui gli enti locali
ritengono che il perseguimento dell’interesse pubblico debba essere assicurato
affidando il servizio pubblico ad un singolo operatore o a un numero limitato
di operatori, la disposizione richiede agli enti locali di procedere all’organizzazione
dei servizi a rete con una delle seguenti modalità, tutte aventi, almeno in
apparenza, pari dignità e poste sullo stesso piano:
a)
affidamento a
terzi mediante procedura a evidenza pubblica secondo le modalità previste dall’articolo 15, nel rispetto del
diritto dell’Unione europea (esternalizzazione);
b)
affidamento a
società mista, secondo le modalità
previste dall’articolo 16, nel rispetto del diritto dell’Unione europea
(cooperazione);
c)
affidamento a
società in house, nei limiti fissati
dal diritto dell’Unione europea, secondo le modalità previste dall’articolo 17
(autoproduzione).
Ai fini della scelta
della modalità di gestione del servizio e della definizione del rapporto
contrattuale, l’ente locale deve procedere ad una valutazione che precede
l’affidamento che tenga conto, insieme alle caratteristiche tecniche ed
economiche del servizio da prestare, anche dei dati e delle informazioni che
emergono dalle verifiche periodiche sulla situazione gestionale dei SPL (cfr.
art 30) nonché dei seguenti parametri:
1.
profili di
qualità del servizio;
2.
investimenti
infrastrutturali;
3.
situazione delle
finanze pubbliche;
4.
costi per l’ente
locale e per gli utenti;
5.
risultati
prevedibilmente attesi in relazione alle diverse alternative;
6.
risultati
prevedibilmente attesi rispetto a esperienze paragonabili;
7.
risultati della
eventuale gestione precedente del medesimo servizio sotto il profilo degli
effetti sulla finanza pubblica, della qualità del servizio offerto, dei costi
per l’ente locale e per gli utenti e degli investimenti effettuati.
Siamo di fronte a
parametri di notevole interesse che, se interpretati in senso pro –
concorrenziale, possono esprimere un vantaggio per le potenziali future
gestioni esternalizzate. Si allude qui alla possibilità che i SPL
attraggano preziosi capitali privati necessari allo sviluppo e consolidamento
degli asset infrastrutturali, oppure, al caso di finanze pubbliche in
difficoltà, o di pregresse esperienze gestionali non proprio brillanti, tutte fattispecie
che potrebbero far pendere l’ago della bilancia in favore di affidamenti a
terzi con tutte le garanzie offerte dall’applicazione rigorosa di procedimenti
concorrenziali ad evidenza pubblica. Va da sé che il settore in esame avrebbe
tanto da guadagnare da procedure amministrative snelle e da regole semplici e
chiare. Sotto questo profilo il TUSPL appare piuttosto prolisso, quanto meno
nell’abbondanza dei valori, degli interessi, dei termini e dei parametri che gli
interpreti sono chiamati a considerare.
Tornando al risultato
della valutazione, esso è contenuto in una relazione propedeutica all’affidamento
del servizio e comprende anche le ragioni e la sussistenza dei requisiti
previsti dal diritto dell’Unione europea per la forma prescelta con
illustrazione degli obblighi di servizio pubblico e delle relative
compensazioni economiche (nel caso siano previste) e i connessi criteri di
calcolo anche al fine di evitare sovracompensazioni. (cfr. art. 14, comma 3)
Infine, per
assicurare la realizzazione degli interventi infrastrutturali necessari
ai soggetti affidatari del servizio, gli enti di governo dell’ambito, integrano
la relazione di cui sopra allegando il piano economico – finanziario contenente
anche la proiezione, per tutta la durata dell’affidamento, dei costi e dei
ricavi, degli investimenti e dei relativi finanziamenti. Tale piano deve essere
asseverato in alternativa: da un istituto di credito, da una società di servizi
iscritta all’albo degli intermediari finanziari, da una società di revisione o
da revisori legali (cfr. art 14, comma 4).
La prima modalità di
affidamento del SIEG di livello locale integra la classica ipotesi di
concorrenza “per” il mercato tra più operatori, segue le regole vigenti in
materia di contratti pubblici e garantisce l’accesso del soggetto privato che
vince la competizione nel delicato segmento della gestione dei servizi.
In relazione alle
caratteristiche del servizio, la figura da preferire e quella della concessione
di servizi[10]
anziché quella degli appalti pubblici di servizi, in modo da assicurare
l’effettivo trasferimento del rischio operativo in capo all’operatore
concessionario del servizio (art. 15).
È nostra opinione che,
essendoci tra gli obiettivi dell’assetto normativo in esame quello di garantire
valori essenziali come la concorrenza, l’efficienza e l’efficacia delle
gestioni, la produzione di servizi adeguati per qualità e quantità, la
promozione degli investimenti e le tariffe orientate ai costi, il
Decreto, non doveva semplicemente tentare di contenere le gestioni in house
tramite l’onere motivazionale (di cui si dirà a breve), ma avrebbe dovuto riservare
una vera e propria corsia preferenziale per l’affidamento a terzi mediante
procedura a evidenza pubblica. Infatti, ci sono studi che dimostrano che l’outsourcing,
sebbene richieda una particolare attenzione per mantenere alti i livelli di qualità
del servizio esternalizzato e facendo attenzione alle caratteristiche del
mercato in cui viene applicato, è in grado di realizzare prestazioni ad alta
efficienza nell’ambito dei servizi pubblici, con minori costi per la
collettività e con sostanziali vantaggi sotto il profilo dell’innovazione.[11]
Si deve sempre tener presente che, a prescindere dalla modalità di gestione
scelta dalle amministrazioni competenti, quello della qualità delle prestazioni
è un aspetto che interessa molti passaggi del Decreto di riordino.
La seconda modalità
di affidamento dei SIEG di livello locale configura una via di mezzo ed è
quella della società a partecipazione mista pubblico – privata,
disciplinata nel dettaglio dall’articolo 17 del decreto legislativo n. 175 del
2016 (Testo unico in materia di società a partecipazione pubblica). La materia
societaria è piuttosto complessa e meriterebbe uno spazio ad hoc che non
possiamo concedere. Qui basti osservare che la regola di base per la forma di
gestione del partenariato pubblico – privato, è che la quota di partecipazione
del soggetto privato non può essere inferiore al 30% e la selezione del
medesimo si svolge con procedure di evidenza pubblica a norma dell'articolo 5,
comma 9, del decreto legislativo n. 50 del 2016 e ha per oggetto, al contempo,
la sottoscrizione o l'acquisto della partecipazione societaria da parte del
socio privato e l'affidamento del contratto di appalto o di concessione oggetto
esclusivo dell'attività della società mista (c. d. gara a doppio oggetto).[12]
La terza tipologia di
affidamento prevista per i SIEG a livello locale è quella della società in
house, nei limiti e secondo le modalità di cui alla disciplina in materia
di contratti pubblici e di cui al decreto legislativo n. 175 del 2016. L’articolo
16 di tale decreto è dedicato, appunto, alle società in house che, come abbiamo
accennato, ricevono affidamenti diretti di contratti pubblici dalle
amministrazioni pubbliche che esercitano su di esse il controllo analogo a
patto che non ci sia partecipazione di capitali privati, salvo eventuali
eccezioni prescritte da norme di legge. Oltre alle dettagliate prescrizioni
dettate per l’assetto organizzativo delle società in house, l’articolo 16
richiede agli statuti delle società di prevedere che, oltre l’ottanta per cento
del loro fatturato sia effettuato nello svolgimento dei compiti a esse affidati
dall'ente pubblico o dagli enti pubblici soci. In pratica, l’in house
providing rappresenta, insieme, una eccezione alla concorrenza (e
sarebbe molto positivo se in tal senso fosse sempre considerata in sede
applicativa) e un modello gestionale dove difetta la terzietà dell’ente
controllato che è una vera e propria propaggine organizzativa dell’ente locale.[13]
Secondo quanto
prescritto dall’articolo 17 comma 2 del TUSPL, nei casi di affidamenti in house
che superano le soglie di rilevanza europea in materia di contratti pubblici (e
fatto salvo il divieto di artificioso frazionamento delle prestazioni per
eludere le procedure di gara), oltre ai vincoli di cui sopra, si aggiunge una
previsione che va certamente salutata con favore in quanto tende a
circoscrivere gli affidamenti in house. Sin tratta dell’introduzione di un qualificato
onere di motivazione che, a ben vedere, conferisce un carattere di vera e
propria eccezionalità all’in house providing. All’aggravio motivazionale
soggiacciono tutti gli enti che decidono di dare corso all’autoproduzione del
servizio in quanto devono esplicitare le ragioni del mancato ricorso al
mercato illustrando, sulla base degli atti e degli indicatori emersi
attraverso l’esercizio della funzione regolatoria (cfr. artt 7 e 9 del dlgs.
201/2022)[14],
i benefici per la collettività della forma gestionale prescelta con riguardo:
1.
agli
investimenti;
2.
alla qualità del
servizio;
3.
ai costi dei
servizi per gli utenti;
4.
all’impatto sulla
finanza pubblica;
5.
agli obiettivi di
universalità, socialità e tutela dell’ambiente;
6.
alla
accessibilità dei servizi;
La giustificazione
della scelta va inoltre precisata in relazione ai risultati conseguiti da
eventuali pregresse gestioni in house, tenendo conto dei dati e delle
informazioni risultanti dalle verifiche periodiche sulla situazione gestionale
dei SPL ex art. 30 del Decreto di riordino.
Con l’intenzione di
realizzare la massima trasparenza in tutte le ipotesi di affidamento senza
procedura ad evidenza pubblica di importo superiore alle soglie di
rilevanza europea in materia di contratti pubblici (compresi i settori del
trasporto pubblico locale e della distribuzione dell’energia elettrica e del
gas naturale), il contratto di servizio, strumento che regola i rapporti fra enti locali e i soggetti affidatari
del servizio pubblico, è stipulato decorsi sessanta giorni dall’avvenuta
pubblicazione della deliberazione di affidamento della società in house sul
sito dell’ Autorità nazionale
anticorruzione (ANAC) (art. 17 comma 3 del Decreto di riordino).
In particolare, nelle
ipotesi relative ai servizi a rete, alla deliberazione di affidamento è
allegata un piano economico – finanziario contenente, su base triennale
e per tutta la durata di affidamento del servizio, la proiezione dei costi e
dei ricavi, degli investimenti e dei relativi finanziamenti nonché la
specificazione dell’assetto economico – patrimoniale della società (capitale
proprio – ed indebitamento). Tale piano deve essere asseverato da un istituto
di credito, o da una società di servizi iscritta all’albo degli intermediari
finanziari, o da una società di revisione, o da revisori legali (art. 17 comma
4 del Decreto di riordino).
In quanto pubbliche
amministrazioni, gli enti locali effettuano annualmente, con proprio
provvedimento, un'analisi dell'assetto complessivo delle società in cui
detengono partecipazioni, dirette o indirette, predisponendo, ove ricorrano
i presupposti normativi, un piano di riassetto per la loro razionalizzazione,
fusione o soppressione, anche mediante messa in liquidazione o cessione. (cfr.
art 20 del decreto legislativo 175 del 2016). In sintesi, e con una previsione
che riteniamo positiva per il sistema dei SPL, gli enti locali devono dare
conto delle ragioni che, sul piano economico e della qualità dei servizi,
giustificano il mantenimento dell’affidamento a società in house, anche in
relazione ai risultati conseguiti nella gestione (art. 17 comma 5 del
Decreto di riordino).
3.2 Altri
aspetti riguardanti la gestione dei Servizi Pubblici Locali di rilevanza
economica a rete: durata dell’affidamento, subentro del nuovo gestore, tutele
sociali e gestione degli asset.
Prima di affrontare l’importante
tema del rapporto che intercorre tra l’ente affidante e il soggetto affidatario
del servizio e i profili ad esso contigui, vediamo in questa sezione altri
aspetti fondamentali della gestione dei SPL cha vanno, dalla durata
dell’affidamento fino al regime del subentro del nuovo gestore, passando per le
tutele sociali e la gestione delle reti, degli impianti e delle altre dotazioni
patrimoniali.
Fatto salvo quanto
previsto dalle discipline settoriali, la durata dell’affidamento è fissata
dall’ente locale in funzione della prestazione richiesta e in proporzione
all’entità e alla durata degli investimenti proposti dall’affidatario, in
misura non superiore al periodo necessario ad ammortizzare gli investimenti
previsti in sede di affidamento ed indicati nel contratto di servizio. Quando
la durata dell’affidamento è inferiore al tempo necessario ad ammortizzare gli
investimenti indicati nel contratto di servizio o, in caso di cessazione
anticipata, al gestore uscente è riconosciuto un indennizzo a carico del
subentrante.[15]
Le modifiche durante il periodo di efficacia, la cessazione anticipata e la
risoluzione del rapporto contrattuale sono consentite nei limiti del diritto
dell’Unione europea e della disciplina dei contratti pubblici. È sempre fatto salvo il potere dell’ente affidante di risolvere
anticipatamente il rapporto in caso di grave inadempimento agli obblighi
di servizio pubblico e alle obbligazioni previste dal contratto di
servizio. (cfr. art 27 TUSPL).
L’articolo 20 del Decreto
legislativo n. 201/2022, affronta l’argomento assai delicato delle tutele
sociali, disponendo che i bandi di gara e le deliberazioni di
affidamento in house del servizio, assicurano, nel rispetto del
principio di proporzionalità, la tutela occupazionale del personale
impiegato nella precedente gestione, anche mediante l’impiego di apposite
clausole sociali, secondo la disciplina in materia di contratti pubblici.
Bisogna constatare
che le imprese pubbliche molto spesso hanno organici in esubero, presentano un
alto impiego di forza lavoro dato che rispondono a logiche politiche anziché a
criteri strettamente manageriali. D’altra parte, è acquisito che le
esternalizzazioni hanno un impatto negativo sui livelli occupazionali, un
effetto che tende però a sfumare nel lungo periodo.
Quello della tutela
occupazionale è un tema controverso, in particolare nel caso di outsourcing,
perché realmente vengono travisati i termini della questione: davanti ad
assunzioni pilotate da criteri politici e clientelari non si può parlare di
vera occupazione. Livelli artificiosi di occupazione non corrispondono in alcun
modo alla forza lavoro necessaria ad una gestione efficiente del servizio, ne
consegue che, il reale fabbisogno occupazionale del soggetto incaricato
della gestione del SPL dovrebbe essere, ragionando in una prospettiva pro – mercato,
quello che scaturisce dall’esercizio della libertà manageriale di organizzare i
fattori produttivi. Come si può imporre al gestore entrante di accollarsi automaticamente
le scelte fortemente antieconomiche effettuate sul personale dalla precedente
gestione?
Sarebbe invece
appropriato che la politica rimanesse nel suo ambito di competenza e si
assumesse la responsabilità di gestire i danni che essa stessa ha generato con
assunzioni artificiose ed ingiustificate. Per gestire gli esuberi occupazionali
si dovrebbe programmare, mediante ammortizzatori sociali (altro costo per la
collettività), la fuoriuscita non traumatica dei lavoratori e il loro
reinserimento nel mercato del lavoro grazie anche ad iniziative di
riqualificazione professionale.
L’articolo 21 del
Decreto di riordino si occupa invece dell’individuazione delle reti, degli
impianti e delle altre dotazioni patrimoniali essenziali alla gestione del
servizio (asset infrastrutturali). Tale identificazione è di competenza
degli enti a cui è attribuita l’organizzazione del SPL e avviene
alternativamente in due momenti distinti:
1.
in sede di
affidamento della gestione del servizio;
2.
in sede di
affidamento della gestione delle reti, degli impianti e delle altre
dotazioni quando questa è separata dalla gestione del servizio.
Inoltre, la regola
vuole che gli asset infrastrutturali siano destinati alla gestione del
servizio pubblico per l’intero periodo di utilizzabilità fisica dei beni e che
gli enti locali non ne possono cedere la proprietà. Nel rispetto delle
discipline di settore, la gestione delle reti, degli impianti e delle
altre dotazioni patrimoniali essenziali può essere affidata separatamente
dalla gestione del servizio, garantendo l’accesso equo e non
discriminatorio alle reti, agli impianti e alle altre dotazioni patrimoniali
essenziali a tutti i soggetti legittimati all’erogazione del servizio.
Nel caso sia separata
dalla gestione del servizio, la gestione degli asset infrastrutturali
è affidata dagli enti competenti secondo le modalità previste dall’articolo 14,
comma 1 che ricordiamo qui di seguito:
a)
affidamento a
terzi mediante procedura ad evidenza pubblica;
b)
affidamento a
società mista;
c)
affidamento a
società in house.
L’ultimo comma
dell’articolo 21 prevede l’ipotesi in cui gli enti locali, anche in forma
associata, possono conferire la proprietà degli asset
infrastrutturali a società a capitale interamente pubblico incedibile.
Tali società sono tenute a mettere le reti, gli impianti e le altre
dotazioni patrimoniali a disposizione, dei soggetti incaricati della gestione
del servizio o, qualora siano separate la gestione del servizio e la
gestione degli asset infrastrutturali, ai soggetti incaricati della gestione
della rete, a fronte di un canone stabilito dalla autorità competente. È applicabile a tali fattispecie il modello di gestione
in house.[16]
Alla scadenza
naturale dell’affidamento o in caso di cessazione anticipata, all’esito del
nuovo affidamento il nuovo gestore vanta un diritto di accesso alle
infrastrutture e subentra nella disponibilità delle reti, degli impianti e
delle altre dotazioni patrimoniali essenziali per lo svolgimento del
servizio (art. 23).
Come si può osservare
da quanto appena riportato, il ruolo dei soggetti afferenti alla sfera
pubblica per quanto riguarda le reti e le altre dotazioni patrimoniali essenziali
per l’erogazione del servizio (individuazione degli asset
infrastrutturali, possibilità di affidamento in house della gestione dei
beni patrimoniali ed eventuale conferimento della proprietà delle reti
degli impianti e delle altre dotazioni patrimoniali a società a capitale
interamente pubblico incedibile) è tutt’altro che trascurabile. In
pratica, il legislatore ha optato per risolvere la questione dell’accesso alle
infrastrutture essenziali per la gestione delle public utilities,
combinando il mantenimento della proprietà di tali asset in mano
pubblica con l’intervento delle autorità regolatorie competenti che fissano il
canone per la fruizione delle infrastrutture da parte dei soggetti interessati.
Questo assetto non fa altro che dare sostanza alla tesi secondo cui, almeno per
quel che concerne il segmento della gestione dei SPL, il TUSPL poteva
fare di più e concedere un maggiore spazio per favorire le forze di mercato
rafforzando l’affidamento a terzi mediante gare ad evidenza pubblica.
3.3
Il
contratto di servizio e la Carta dei servizi nei Servizi Pubblici Locali: artt.
24 e 25 del TUSPL
Il contratto di
servizio è lo strumento giuridico che
disciplina i rapporti tra enti affidanti e soggetti affidatari del servizio
pubblico (nonché dei rapporti che si instaurano nella gestione degli asset
infrastrutturali) avendo riguardo per un ampio ventaglio di condizioni relative
all’erogazione del servizio e le relative prestazioni offerte. Il contratto di
servizio, nei casi di ricorso a procedure a evidenza pubblica è redatto in base
ad uno schema allegato alla documentazione di gara e contiene previsioni
dirette ad assicurare, per tutta la durata dell’affidamento, i seguenti
obiettivi:
1.
L’assolvimento
degli obblighi di servizio pubblico.
2.
L’equilibrio
economico – finanziario della gestione secondo criteri di efficienza.
3.
La promozione del
progressivo miglioramento dello stato delle infrastrutture.
4.
La qualità delle
prestazioni erogate.
Secondo il terzo comma dell’art. 24, il
contratto di servizio, salvo quanto previsto dalle discipline di settore, contiene
clausole relative almeno ai seguenti aspetti:
a)
il regime
giuridico prescelto per la gestione del servizio;
b)
la durata del
rapporto contrattuale;
c)
gli obiettivi di
efficacia e di efficienza nella prestazione dei servizi, nonché l’obbligo di
raggiungimento dell’equilibrio economico – finanziario della gestione;
d)
gli obblighi di
servizio pubblico;
e)
le condizioni
economiche del rapporto, incluse le modalità determinazione di eventuali
compensazioni economiche a copertura degli obblighi di servizio pubblico e di
verifica dell’assenza di sovracompensazioni;
f)
gli strumenti di
monitoraggio sul corretto adempimento degli obblighi contrattuali, compreso il
mancato raggiungimento dei livelli di qualità;
g)
gli obblighi di
rendicontazione ed informazione nei confronti dell’ente affidante o di altri
enti di controllo e monitoraggio delle prestazioni con riferimento:
·
Agli obiettivi di
efficacia ed efficienza.
·
Ai risultati
economici e gestionali;
·
Ai livelli
quantitativi e qualitativi.
h)
la previsione delle
penalità ed ipotesi di risoluzione del contratto in caso di grave e ripetuta
violazione degli obblighi contrattuali o di altri inadempimenti che precludono
la prosecuzione del rapporto;
i)
l’obbligo di
mettere a disposizione i dati e le informazioni utili alle successive procedure
di affidamento;
j)
le modalità di
risoluzione delle controversie con gli utenti;
k)
le garanzie
finanziarie e assicurative;
l)
la disciplina del
recesso e delle conseguenze derivanti da ogni ipotesi di cessazione anticipata
dell’affidamento, nonché i criteri per la determinazione degli indennizzi;
m)
L’obbligo del
gestore di rendere disponibili all’ente affidante i dati acquisiti e generati
nella fornitura dei servizi agli utenti;
n)
Per i servizi
resi su richiesta individuale:
·
Struttura,
livelli e modalità di aggiornamento delle tariffe e dei prezzi a carico degli
utenti;
·
Indicatori
qualitativi e quantitativi delle prestazioni da erogare relativi ad obiettivi
di miglioramento inclusi gli obiettivi di miglioramento per l’accesso al
servizio delle persone diversamente abili;
·
Indicazione delle
modalità per proporre reclamo nei confronti dei gestori con riguardo anche dei
tempi di comunicazione degli esiti agli utenti;
·
Modalità di
ristoro dell’utenza nei casi di violazione dei livelli qualitativi del servizio
e delle condizioni generali del contratto.
Al contratto di
servizio vanno in ogni caso allegati documenti di massima importanza come: il programma degli investimenti, il piano economico –
finanziario e, per i servizi a fruizione individuale, il programma di
esercizio.
Inoltre, la
determinazione dei rapporti tra ente affidante e gestore del servizio in via
negoziale va raccordata con la redazione e l’aggiornamento della Carta dei
servizi, atto a cura del gestore del SPL dove vengono esplicitate la composizione
della tariffa, il livello effettivo di qualità e quantità dei servizi offerti,
il livello annuale degli investimenti effettuati e la loro programmazione
fino al termine dell’affidamento con modalità che assicurino la comprensibilità
dei relativi atti e dati sempre nel rispetto delle regole sui segreti
commerciali e le informazioni confidenziali delle imprese, vedi art 25 TUSPL.
In particolare, va ulteriormente
ribadito come, l’articolo 2, comma 461, lettera a), della Legge 24 dicembre
2007, n. 244 – Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e
pluriennale dello Stato (legge finanziaria 2008) prevede un impegno puntuale
per gli enti locali che, al fine di tutelare i diritti dei consumatori e
degli utenti dei servizi pubblici locali e di garantire la qualità,
l'universalità e l'economicità delle relative prestazioni, in sede di stipula
dei contratti di servizio, sono tenuti ad obbligare il soggetto gestore
all’emanazione di una "Carta della qualità dei servizi", da
redigere e pubblicizzare in conformità ad intese con le associazioni di tutela
dei consumatori e con le associazioni imprenditoriali interessate, anche le
modalità di accesso alle informazioni garantite, quelle per proporre reclamo e
quelle per adire le vie conciliative e giudiziarie nonché le modalità di
ristoro dell'utenza, in forma specifica o mediante restituzione totale o
parziale del corrispettivo versato, in caso di inottemperanza.
3.4
I
profili tariffari dei Servizi Pubblici Locali, l’art. 26 del TUSPL
Nell’individuazione
dei prezzi dei servizi intervengono nell’ordine, le autorità di regolazione,
quanto disposto dalle normative di settore e, soprattutto, gli enti
che affidano il servizio che definiscono le tariffe in misura tale da
assicurare:
a)
l’equilibrio
economico – finanziario dell’investimento
e della gestione;
b)
il perseguimento
di recuperi di efficienza che consentano la riduzione dei costi a carico
della collettività.
Il tutto dovrebbe trovare un complesso
equilibrio, un’armonia con gli obiettivi di carattere sociale, di tutela
dell’ambiente e di uso efficiente delle risorse, tenendo conto della
legislazione nazionale e del diritto dell’Unione europea in materia. L’articolo
in esame va ancor di più nel dettaglio dettando i criteri per la
determinazione delle tariffe:
1.
correlazione
tra costi efficienti e ricavi
finalizzata al raggiungimento dell’equilibrio economico finanziario della
gestione, previa definizione e quantificazione degli oneri di servizio pubblico
e degli oneri di ammortamento tecnico – finanziario;
2.
equilibrato
rapporto tra finanziamenti raccolti e
capitale investito;
3.
valutazione
dell’entità dei costi efficienti di gestione delle opere, tenendo conto
anche degli investimenti e della qualità del servizio;
4.
adeguatezza della
remunerazione del capitale investito, coerente con le prevalenti
condizioni di mercato.
Sempre in rispetto di
quanto disposto dalle discipline settoriali, gli enti che affidano il servizio
possono prevedere tariffe agevolate per categorie specifiche di utenti
che versino in condizioni di disagio socioeconomico o diversamente abili. Per
quanto riguarda le modalità di aggiornamento delle tariffe queste
vengono fissate dagli enti che affidano il SPL, allo scopo di favorire il
graduale miglioramento della qualità ed efficienza dei servizi, seguendo, di
norma, il metodo del “price cap” (limite massimo per la variazione dei
prezzi) in funzione dell’inflazione programmata, di eventuali nuovi
investimenti effettuati, di obiettivi per recuperi di efficienza e qualità.
(cfr. art 26, terzo e quarto comma).
Sulla regolazione
tariffaria ci sarebbe molto da dire, ad iniziare dal fatto che, il metodo del
price – cap, non è certo l’unico tra gli strumenti di regolazione delle public
utilities con cui si tende, tra l’altro, a tutelare l’utenza da operatori
che erogano i servizi al riparo delle pressioni concorrenziali (l’esempio
classico è quello del monopolio naturale che si verifica nei servizi che si
avvalgono di infrastrutture non duplicabili o la cui duplicazione sarebbe
estremamente costosa). Il price – cap è un metodo di regolazione delle tariffe
che si è diffuso, prima in Inghilterra, a partire dal 1984, e poco dopo negli
Stati Uniti e che autorizza, per un periodo pluriennale, il gestore del
servizio pubblico a disporre di una variazione annuale delle tariffe che
vengono parametrate ad un tasso medio vincolato all’indice generale dei prezzi
a cui va sottratto un coefficiente pari all’aumento di produttività imposto dal
regolatore a beneficio dell’utenza. In estrema sintesi e con una buona dose di
semplificazione, l’impresa è incentivata a ridurre i costi di produzione in
quanto le viene consentito di trattenere la differenza tra il prezzo massimo
fissato dall’autorità e il livello dei costi di produzione (quanto maggiore è
il risparmio dei costi maggiore è il ricavo per l’impresa).[17]
3.5 Vigilanza, trasparenza e verifiche periodiche
nell’ambito dei SPL
Bisogna prendere atto
che il Decreto legislativo n. 201 del 2022 ha fatto uno sforzo non indifferente
per rendere trasparente e leggibile l’andamento della gestione dei Servizi
Pubblici Locali e per favorire gli enti competenti nell’esercizio di una
puntuale vigilanza e nel controllo sulla gestione dei servizi. La vigilanza si
espleta mediante un programma dei controlli finalizzato alla verifica del
corretto svolgimento delle prestazioni affidate tenendo conto:
1.
della tipologia
di attività;
2.
dell’estensione
territoriale di riferimento;
3.
dell’utenza a cui
i servizi sono destinati.
A coronamento della funzione di
controllo i gestori sono obbligati a fornire all’ente affidante tutte le
informazioni e i dati concernenti l’assolvimento degli obblighi contenuti nel
contratto di servizio. L’inadempimento di tale obbligo informativo
comporta delle penalità in capo ai gestori.
Il D.lgs. n. 201/2022
ha inserito dei meccanismi per rendere maggiormente trasparenti i risultati
delle gestioni dei servizi pubblici locali, affidando agli enti il compito
di appurare la sostenibilità dell’offerta dei servizi nel corso del tempo sia
sotto il profilo economico – finanziario che sotto quello qualitativo nella
prospettiva di soddisfazione dell’utenza.
Dunque, la situazione
gestionale dei servizi pubblici locali è oggetto di verifiche periodiche da
parte degli enti competenti (Comuni, Unioni o Consorzi di Comuni, Enti di
governo degli ambiti territoriali ottimali, Comunità montane, isolane e di
arcipelago, Province e Città metropolitane e Regioni) con popolazione superiore
a 5.000 abitanti che sono obbligati a redigere una ricognizione a cadenza
annuale con cui viene rilevato, per ogni servizio affidato:
1.
il concreto
andamento economico;
2.
la qualità;
3.
il rispetto degli
obblighi derivanti dal contratto di servizio;
4.
la misura del ricorso
ad affidamenti in house.
La ricognizione deve
essere sviluppata in modo analitico e tenendo conto anche degli atti e degli indicatori
adottati dalle autorità di regolazione. (art 30 TUSPL). C’è da precisare
che la ricognizione è contenuta in una relazione contestuale
all’analisi dell’assetto delle società partecipate di cui all’articolo 20 del
decreto legislativo n. 175 del 2016 e, nel caso di servizi affidati a
società in house, la relazione di cui al periodo precedente costituisce
appendice della relazione di cui al già menzionato articolo 20 del decreto legislativo
n. 175 del 2016.
L’articolo 31 del
TUSPL, si propone di rafforzare la trasparenza dei servizi pubblici locali e
ricapitola gli atti fondamentali che vanno pubblicati senza
indugio sul sito istituzionale dell’ente affidante e trasmessi contestualmente
all’Anac, che provvede alla immediata pubblicazione sul proprio portale
telematico in una apposita sezione denominata Trasparenza SPL. Gli atti
interessati dalla saliente visibilità pubblica, anche attraverso la
piattaforma unica della trasparenza dell’ANAC, sono i seguenti:
1.
La deliberazione
di istituzione del servizio (art. 10, comma 5).
2.
La relazione sulla
scelta della modalità di gestione del servizio (art. 14, comma 3).
3.
La deliberazione
di affidamento in house del servizio (art 17, comma 2).
4.
La relazione
sulla situazione gestionale dei servizi pubblici locali (art 30, comma
2).
Aggiornata al 31
dicembre 2024, l’ultima Relazione annuale ANAC evidenzia come siano
maggiormente i Comuni e i consorzi o le unioni dei medesimi ad utilizzare il
servizio trasparenza dell’anticorruzione (più del 90% delle pubblicazioni
riguarda tali enti). Il servizio maggiormente affidato in assoluto tra quelli a
rete è quello dei rifiuti, (23,82% degli affidamenti), seguito dal trasporto
pubblico locale (5,47%), dalla distribuzione di gas naturale (0,36) e dalla distribuzione
di energia elettrica (0,24%). Anche se i dati sono parziali (non tutti gli enti
competenti hanno ottemperato agli obblighi di trasparenza per cui è ovvio che
ci siano delle ampie zone d’ombra – si veda a tal proposito il paragrafo
successivo) e riguardano tutti i servizi pubblici locali, non solo quelli a
rete, l’ampia diffusione degli affidamenti diretti affiora chiaramente da
questa classifica:
a)
il 44,35% corrisponde
ad affidamenti a terzi mediante procedura a evidenza pubblica;
b)
il 43,50 ad affidamenti a società in house;
c)
l’8,14% ad affidamenti
senza procedura a evidenza pubblica.[18]
4 I
nodi vengono al pettine: gli interventi dell’Autorità Garante della Concorrenza
e del Mercato in materia di ricognizioni sull’andamento dei servizi pubblici
locali
Già nel mese di
giugno 2024 e in virtù del potere ad essa riconosciuto dall’articolo 21 della legge
n. 287 del 1990, l’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato (AGCM) ha
provveduto a formulare delle osservazioni sull’ottemperanza da parte degli enti
territoriali dell’obbligo di pubblicare le relazioni sulla situazione
gestionale dei servizi pubblici locali a rilevanza economica ex art. 30,
comma 2.
L’AGCM rileva come, da
dicembre 2023 a maggio 2024, 1576 enti, per lo più Comuni, hanno pubblicato i
documenti di ricognizione nel portale dell’Autorità Nazionale Anticorruzione
(ANAC) con un tasso di ottemperanza alquanto basso e, comunque, più elevato tra
le Regioni del Centro – Nord (in media 68,5%) e più basso per il Sud e le Isole
(36%). L’analisi di questi documenti risulta problematica perché ha portato
alla luce una serie di criticità che rendicontiamo in maniera sommaria e che
vanno raggruppate nelle seguenti categorie sulla falsa riga di quanto riportato
dall’Autorità:
Ricorrente
e significativa carenza di informazioni
L’analisi dell’AGCM
ha fatto emergere delle vistose lacune in termini informativi per quanto
concerne le gestioni dei SPL, con particolare riguardo all’andamento economico
– finanziario, alla soddisfazione dell’utenza e alla bontà dei risultati
realmente conseguiti dai gestori. È apparso altresì carente lo sforzo degli
enti affidanti nel definire le concrete azioni intraprese per colmare il
divario tra risultati effettivamente raggiunti e obiettivi prefissati dalla
regolazione settoriale e dai contratti di servizio. Assai limitato è stato il
ricorso a processi di confronto attraverso analisi di benchmark per il
miglioramento delle prestazioni aziendali. Molto interessante, alla luce della
presente indagine, e particolarmente riprovevole è il fatto che le
ricognizioni analizzate dall’AGCM hanno per lo più trascurato l’indicazione di
quelle ragioni che, sul piano economico e della qualità dei servizi,
giustificano il mantenimento degli affidamenti dei servizi a società
partecipate in house, anche in relazione ai risultati conseguiti nelle gestioni,
come è invece richiesto dall’articolo 17, comma 5, del Decreto legislativo n.
201 del 2022.
Criticità
nella concreta gestione dei servizi
Tra le altre
criticità emerse c’è l’andamento della gestione dei servizi da cui
deriva una stretta relazione tra le prestazioni economiche dei gestori, la
qualità del servizio e i costi riversati sull’utenza. Tutto ciò implica un
rapporto di causa – effetto tra le inefficienze gestionali e l’insoddisfazione
degli utenti. In questo ambito le principali criticità rilevate riguardano:
1.
L’andamento
economico – finanziario dei servizi;
2.
Il rispetto degli
obblighi derivanti dal contratto di servizio;
3.
L’adesione agli
indicatori stabiliti in sede di regolazione;
4.
I livelli
qualitativi espressi nell’erogazione dei servizi;
5.
I costi a carico
dell’utenza;
6.
Gli oneri in capo
all’ente affidante.
Durata
eccessiva degli affidamenti e Illegittimo ricorso alle proroghe
Malgrado le criticità
mosse dall’AGCM in questo ambito abbiano interessato per lo più (ma non solo)
servizi di interesse economico generale non a rete a livello locale, vale la
pena ribadire un concetto chiave nella materia: la durata degli affidamenti
deve essere commisurata alla legittima esigenza di spalmare in più esercizi
l’ammortamento dei costi consentendo così un recupero dei costi e un adeguata
remunerazione del capitale investito. Corollario di tale principio è la
proporzionalità della durata temporale degli affidamenti in considerazione di
valutazioni tecniche, economiche e finanziarie.
Gli argomenti
poc’anzi spiegati si ripropongono nelle ipotesi di proroghe o rinnovo degli
affidamenti dei servizi, pratiche particolarmente diffuse nel settore del
trasporto pubblico locale, comparto già contraddistinto per la lunga durata dei
contratti di servizio (si veda ad esempio la figura delle proroghe
“emergenziali” prevista dall’articolo 5, paragrafo 5, del Regolamento (CE) n. 1370/2007).
La determinazione della durata degli affidamenti va rigorosamente collegata con
quanto previsto dalla disciplina sui contratti pubblici che, dopo aver
stabilito regole sulla durata limitata delle concessioni, insieme al criterio
del recupero dei capitali investiti da parte dei concessionari, prevede un
principio basilare per cui, “i contratti aggiudicati senza gara (…) non sono
in nessun caso prorogabili” (art. 178 del Decreto legislativo 31 marzo
2023, n. 36).
Commistione
tra funzioni di regolazione e funzioni di gestione
In netto contrasto
con lo spirito del riordino attuato con il TUSPL risulta la situazione di fatto
riferibile agli enti di ambito, in alcuni casi di servizi idrici e di
servizi di gestione dei rifiuti, legittimi titolari delle funzioni di
indirizzo e controllo, che detengono anche una partecipazione diretta nel
capitale sociale dei soggetti incaricati della gestione dei servizi, con
evidente lesione della regola della separazione delle funzioni di cui
all’articolo 6, comma 2 del Decreto.
Nella casistica
rilevata dall’AGCM rientra anche quella delle Regioni che detengono delle
partecipazioni nelle società di gestione dei servizi sopramenzionati. In queste
ipotesi la Regione, non essendo competente ad affidare il servizio, non può
costituire o partecipare in una società in house finalizzata alla gestione. Si
tratterebbe, infatti, di una fattispecie irregolare per mancanza del vincolo
di scopo prescritto dall’articolo 4, comma 1 del Decreto legislativo 19
agosto 2016, n. 175, Testo unico in materia di società a partecipazione
pubblica che così recita: Le
amministrazioni pubbliche non possono, direttamente o indirettamente, costituire società aventi per
oggetto attività di produzione di beni e servizi non strettamente necessarie
per il perseguimento delle proprie finalità istituzionali, né acquisire o
mantenere partecipazioni, anche di minoranza, in tali società. Si tratta di una disposizione molto importante
perché diretta a tutelare la concorrenza da indesiderati effetti distorsivi
sulle dinamiche di mercato.
Quanto fin qui
esposto traccia una cornice entro cui vanno inseriti, con una soluzione di
sintesi, i casi concreti analizzati dall’AGCM nell’esercizio del suo
potere di segnalazione di atti che determinano distorsioni della concorrenza
e del corretto funzionamento del mercato, che non siano giustificati da
esigenze di interesse generale (cfr. art. 21, legge n. 287/1990). Il primo dato
che salta alla vista è che, tutte le segnalazioni interessano carenze e
criticità relative alla gestione di tre tipologie di servizi a rete: il
servizio idrico integrato, la gestione dei rifiuti e il trasporto pubblico
locale. Praticamente, tutte le tredici segnalazioni prese in esame
riguardano proprio affidamenti in house sparsi per tutta la penisola
(Comune di Taranto, Roma Capitale, Provincia di Imperia, Comune di Napoli,
Regione Puglia, Provincia di Verona, Ente di Governo ATO Piemonte, Ente di
Governo dell’Ambito Sardegna, ATO Provincia di Pavia, Ente Regionale Servizio
Idrico Abruzzo, Provincia di Brescia, Comune di Palermo). Non avrebbe senso
riprodurre in questa sede le specifiche carenze e tutte le criticità che
integrano ogni singolo caso e, anzi, potrebbe essere più significativo e
agevole per chi legge, estrapolare alcuni elementi salienti indirizzando chi
volesse approfondire al Focus dal titolo Gli
interventi dell’Autorità in materia di ricognizioni, contenuto nella
Relazione annuale 2024 dell’AGCM dove sono disponibili le singole segnalazioni.
Ad esempio, le carenze
informative riguardano aspetti fondamentali come: gli equilibri economici,
i ricavi tariffari, gli obblighi di pubblico servizio, gli indicatori di
soddisfazione dell’utenza, i risultati della gestione, gli oneri in capo
all’ente affidante, i livelli raggiunti in termini di qualità del servizio,
l’andamento della gestione, la carenza di giustificazione del mantenimento
del servizio in affidamento in house, l’assenza di indici di soddisfazione
dell’utenza, la durata degli affidamenti, la congruità degli investimenti e il
raggiungimento degli obiettivi fissati dal contratto di servizio. È fatto
interessante che la stessa Autorità ha evidenziato l’esigenza di un
intervento tempestivo da parte degli enti affidanti che si trovino dinnanzi a gestioni
inefficienti al fine di vagliare la possibilità di revocare gli
affidamenti in house qualora tali affidamenti non siano più giustificabili dal
punto di vista economico, qualitativo e degli oneri per gli enti locali.
Per quanto riguarda i
servizi di igiene urbana, alcune gestioni si sono rivelate carenti nel
raggiungere l’obiettivo dei volumi minimi di raccolta differenziata, talvolta
al di sotto della media nazionale, oppure, nell’indicare il concreto andamento
della gestione del servizio. In alcune gestioni, il servizio idrico
integrato ha presentato fognature inadeguate, insufficienza dei processi di
depurazione, perdite lungo la rete idrica, scarsa qualità dell’acqua, andamenti
negativi della gestione, bilanci in perdita e mancato rispetto degli standard
fissati dall’Autorità di Regolazione per Energia Reti e Ambiente (ARERA) in un
contesto di alti costi per l’utenza.
Addirittura, ci
sembra assai grave che, al momento della
segnalazione dell’AGCM, fosse in fase di approvazione nella Regione Puglia un
progetto di legge che prevedeva l’affidamento in house del servizio idrico fino
al 31.12.2046, aggirando per legge, qualsiasi forma di confronto concorrenziale,
una evenienza che salta a piè pari e in maniera arbitraria la garanzia
procedimentale che àncora la scelta dell’ente affidante in favore dell’autoproduzione
come fattispecie alternativa alla soluzione di mercato, che deve essere puntualmente
motivata,. Nel servizio di trasporto pubblico locale, sono state
registrati casi con forti perdite d’esercizio, parametri carenti relativi
all’efficienza e alla qualità dei servizi (ritardi, corse non effettuate o poco
frequenti, scarsa pulizia e confort dei mezzi), inadempimento degli obblighi di
servizio pubblico, ricorso indiscriminato delle proroghe anche in casi di
affidamenti di lungo corso. Diverse sono le posizioni assunte dall’AGCM
rispetto ai singoli casi: si va dal sollecito all’ente affidante a monitorare i
servizi nell’ottica di una eventuale revoca dell’affidamento fino al
caso in cui si è evidenziata la mancanza di una giustificazione del
mantenimento del servizio in affidamento in house, passando per un'altra
fattispecie in cui è stato esplicitamente auspicato l’espletamento di una
gara ad evidenza pubblica.
5.
Riflessioni
conclusive
Uno dei punti emersi
lungo le pagine che precedono è stato quello della difficoltà riscontrata nel
reperire informazioni sulla situazione oggettiva dei servizi di pubblica
utilità che vadano oltre il dato puramente normativo. È senz’altro positiva
l’attività dell’ANAC che, sulla scia di quanto richiesto dal TUSPL e attraverso
il portale Trasparenza SPL sta facendo emergere la variegata realtà degli
affidamenti. Tuttavia, sarebbe ancora meglio se si potesse disporre di
elaborazioni statistiche approfondite che si pongano come punto di partenza per
un’analisi comparata basata su parametri oggettivi, sull’efficienza, l’efficacia
e la qualità delle prestazioni rese mediante le tre modalità di erogazione dei
servizi a rete: affidamenti diretti in house, affidamenti a terzi previa
procedura ad evidenza pubblica e l’ipotesi di cooperazione attraverso il
partenariato pubblico – privato.
Fortunatamente,
l’operato delle autorità amministrative indipendenti (ANAC e AGCM), grazie
anche all’attenzione posta dal legislatore del riordino sull’aspetto della
trasparenza dei SPL, ha recentemente restituito alcuni profili di interesse,
anche se a dire il vero poco incoraggianti, sulle tendenze in atto a livello
gestionale dei SPL. Un approfondimento sarebbe ancora possibile se si passassero
al setaccio i siti istituzionali delle autorità di regolazione dei singoli
settori (Autorità di Regolazione dei Trasporti – ART e Autorità di Regolazione
per Energia Reti e Ambiente – ARERA) ma, così facendo, si perderebbe di vista
quella visione d’insieme a cui ci siamo impegnati con la stesura di questo
paper.
Come si può
apprezzare dal paragrafo precedente, abbiamo passato in rassegna aspetti sostanziali
delle gestioni dei Servizi Pubblici Locali, servizi che hanno tutti un impatto reale sul vissuto delle
città italiane e dei loro cittadini – utenti. Anche se risulta difficile farsi
una idea di quanto sia rappresentativo il campione analizzato dall’AGCM
rispetto alla totalità dei servizi pubblici resi nel Paese, è ragionevole
pensare che le opacità rispetto all’operato delle amministrazioni
competenti e le criticità delle gestioni dei servizi di interesse
economico generale di livello locale, vadano ben oltre quanto rilevato dall’Antitrust
che, continuando a vigilare sul sistema delle public utilities, potrebbe
tornare a pronunciarsi sulla materia svelando, con ulteriori verifiche, altrettante
problematiche e criticità.
Il criterio della
trasparenza che vuole realizzare il Decreto di riordino, accendendo un faro sia
sugli enti competenti che sulle imprese che gestiscono i SPL, è certamente un
dato positivo. Le risultanze degli interventi dell’AGCM, con tutte le insufficienze
e le problematiche emerse, dovrebbero fungere da campanello d’allarme per il
cittadino comune (fruitore e finanziatore dei servizi) affinché rivendichi, con
coraggio, la legittima pretesa a prestazioni migliori e accessibili a tutti che
il mercato, con gli eventuali correttivi e in
sintonia con lo spirito del servizio pubblico universale, è certamente in grado
di procurare.
I SPL dovrebbero
finalmente essere erogati, sulla base di un principio meritocratico, dai
soggetti economici che dimostrino (in gare veramente contendibili,
trasparenti e a concorrenza aperta, in cui vi partecipano tutti gli
operatori interessati – anche quelli di provenienza europea se si vuole
riconoscere la cogenza del diritto euro – unitario) di essere più di tutti gli
altri, idonei a gestire i servizi secondo criteri di qualità ed efficienza,
investendo nell’innovazione e nelle infrastrutture in vista di un equo e
congruo ritorno economico.
Dallo scenario ideale
appena delineato deriva la genuina convinzione che i soggetti che compongono
quella che abbiamo individuato come la “sfera pubblica”, istituzioni politiche,
le amministrazioni locali, le autorità indipendenti e gli enti di regolazione,
lungi dall’essere confinati ad un ruolo di secondo piano, sono chiamati ad
interpretare al meglio la loro parte e ad esercitare le loro competenze in
maniera trasparente, proporzionale ed imparziale, consentendo che le migliori
forze di mercato facciano la loro.
Inoltre, proprio il
difetto di qualità ed efficienza in molti servizi dovrebbe essere di grande
stimolo per le forze in campo che si auto percepiscono come antisistema, per
portare avanti con determinazione la battaglia politica e culturale delle idee
per una razionalizzazione del settore pubblico che passa inevitabilmente
attraverso una sostanziale contrazione dello Stato nelle sue morbose e
patologiche manifestazioni (spesa pubblica, debito pubblico, imposizione
fiscale fuori controllo e proliferazione di norme, enti e procedure inutili)
entro cui si inserisce a pieno titolo l’apertura dei mercati dei servizi
pubblici locali.
Il fine ultimo deve
essere quello di concentrare il necessario capitale politico indispensabile ad
invertire la rotta e cambiare il paradigma di funzionamento dei SPL. In questo
senso il Decreto legislativo n. 201 del 2022 non è affatto un punto di arrivo
ma veicola qualche punto in favore della concorrenza e diversi punti deboli che
tendono a diluire la sostanza delle aperture al libero mercato.
Vanno certamente
apprezzati i seguenti profili: l’intenzione del legislatore dei SPL di tutelare
la promozione della concorrenza e la libertà di prestazione di servizi per gli
operatori economici interessati alla gestione dei SPL, l’incentivazione delle
aggregazioni (anche se in una versione troppo blanda), il tentativo di attuare
una compiuta separazione tra le funzioni di regolazione, indirizzo, controllo,
da un lato, e gestione dei servizi, dall’altro. Bene anche l’aggravio
motivazionale in sede di deliberazione dell’affidamento del servizio con
modalità in house se è inteso quale freno all’utilizzo indiscriminato di tale
modello organizzativo. Come più volte segnalato è positivo anche lo sforzo
per una maggiore vigilanza e trasparenza perseguito con l’introduzione dell’obbligo
di ricognizione annuale sulla situazione gestionale dei SPL con coinvolgimento
dell’ANAC. Certo è che si tratta di aspetti tutti da valutare soprattutto in
sede di concreta applicazione della normativa non bastando, quindi, la sola
bontà dei propositi del legislatore.
Da un punto di vista
pro – mercato è da identificare come principale limite della normativa il
collocamento sullo stesso piano dell’autoproduzione del servizio, della
esternalizzazione e della cooperazione pubblico – privato. Ad oggi il Governo
in carica sembra intenzionato a continuare a favorire il mercato solo in via
indiretta tramite il rafforzamento della funzione di controllo, infatti, il
Disegno di legge concorrenza per il 2025 dello scorso 4 giugno, vorrebbe migliorare
l’efficienza e la trasparenza nella gestione dei servizi pubblici locali
attraverso l’imposizione agli enti locali dell’obbligo di individuare le cause
di inefficienze dei servizi qualificando la gestione come
"insoddisfacente" se il gestore ha registrato perdite rilevanti o
risultati molto inferiori rispetto agli obiettivi contrattuali e benchmark
qualitativi.[19]
Il Decreto di
riordino avrebbe potuto dare un maggiore slancio all’apertura dei mercati dei
SPL privilegiando l’affidamento a terzi e lasciando le altre modalità in un
ruolo residuale. Pensando in grande, sarebbe stato preferibile il passaggio ad
un sistema dove i diritti di esclusiva, le obbligazioni di somministrazione, le
clausole sociali (con cui s’impongono organici sovrabbondanti ai gestori
entranti) e le rigide regolamentazioni delle attività fossero sostituiti da un
modello aperto, retto il più possibile dalla libertà di impresa, il cui solo
limite fosse rappresentato dall’esigenza di garantire il servizio universale. A
dire il vero, una tale soluzione sembra molto distante dalla realtà italiana e
bisogna ritenersi soddisfatti se ai profili normativi vigenti si dà una interpretazione
il più incline possibile verso il libero mercato e, a tal proposito, sembra
quanto mai opportuno chiedersi: sono la politica, le amministrazioni locali (corredate
dalle loro statiche burocrazie), i cittadini – utenti, le istituzioni e la
società in generale, definitivamente pronti per una simile evoluzione e
mutamento di prospettiva?
6.
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Ideology and Policy
[1] Se queste sono le coordinate di diritto costituzionale
entro cui si colloca l’oggetto del presente lavoro, dal canto suo, il diritto
dell’Unione europea e, in particolare, i Servizi di Interesse Economico
Generale (SIEG), introducono i grandi temi della libera concorrenza e del
diritto antitrust (e relative deroghe), del mercato unico,
dell’intervento degli Stati membri nell’economia, in via diretta, con le
imprese pubbliche e, in via indiretta, attraverso gli aiuti di Stato e così
via. Per ora è sufficiente rammentare che:
“Gli Stati membri non emanano né mantengono, nei confronti delle
imprese pubbliche e delle imprese cui riconoscono diritti speciali o esclusivi,
alcuna misura contraria alle norme dei trattati, specialmente a quelle
contemplate dagli articoli 18 (divieto di discriminazione in base alla
nazionalità) e da 101 a 109 inclusi (norme in materia di concorrenza).
Le imprese incaricate della gestione di servizi di interesse economico
generale o aventi carattere di monopolio fiscale sono sottoposte alle norme dei
trattati, e in particolare alle regole di concorrenza, nei limiti in cui
l'applicazione di tali norme non osti all'adempimento, in linea di diritto e di
fatto, della specifica missione loro affidata” (art. 106 del TFUE).
[2] In tempi più o meno recenti l’Istituto Bruno Leoni ha
messo in evidenza il rapporto annuale sulle partecipazioni pubbliche nelle
imprese elaborato dall’ISTAT da cui risulta che nel 2022 è aumentato il numero
delle imprese a partecipazione pubblica statale attive nei settori
dell’Industria e dei Servizi (+1,5%). In controtendenza, le partecipate degli
enti locali sono in diminuzione e ciò è verosimilmente dovuto alla saturazione
del settore che registra ora un movimento di riflusso (-4,7% rispetto al 2021).
Con le parole dell’IBL, “torna a crescere il ruolo dello Stato, legato sia
al mantenimento di quote nei “campioni nazionali”, sia – ed è questa la novità
– in maniera sempre più frequente nella proprietà di aziende che rischiano o la
bancarotta, o l’acquisizione da parte di terzi”. IBL, L’inesauribile
voglia di fare degli statalisti.
[3] Confronta:
-Virgillito B. L. F., Reforms of the Public Administration under
Thatcher and Reagan in the Neoliberal framework. L’autrice evidenzia come,
i governi della Thatcher abbiano dato luogo a politiche di riorganizzazione del
comparto statale con ricorso all’esternalizzazioni dei servizi anche nei
settori dei trasporti e dell’igiene urbana.
-Edwards C., Margaret Thatcher’s Privatization Legacy.
-Parkinson M., The Thatcher Government’s Urban Policy.
[4] Cfr. Telly – Grove, The Municipal Utility and the
Liberal Economic Ethic.
[5] Confronta:
-Olmastroni G., Un anno di Milei in Argentina: cosa è cambiato?
-Kleinheyer – Schnabl, Argentina:
Javier Milei’s Reform Agenda from a Theoretical and Empirical Perspective
-Zilla C., Javier Milei’s
Ideology and Policy
[6] Cfr. Gatto S., I servizi pubblici locali nel
prisma della concorrenza, della regolazione e della gestione
[7] Cfr art 35 della Legge 28
dicembre 2001, n. 448 - Disposizioni per la formazione del bilancio annuale
e pluriennale dello Stato (Finanziaria 2002)
[9] Per un approfondimento su tutti i principi e criteri
direttivi della delega si rinvia a:
La Governance del Piano Nazionale Di Ripresa E Resilienza – Il riordino
della disciplina dei servizi pubblici locali di rilevanza economica.
[10] È degno di nota come, già nel 1998, quando il
processo di liberalizzazione dei SPL era in procinto ad avviarsi, autorevole
dottrina giungeva alla conclusione che, nella scelta del concessionario, ma
ancor prima nella individuazione delle forme di gestione dei servizi pubblici,
“l’amministrazione deve accogliere soluzioni conformi alle regole
comunitarie sulla concorrenza”. Cavallo Perin R., La Struttura Della
Concessione di Servizio Pubblico Locale.
[11] Cfr. Poutvaara
P., Public-sector outsourcing. The desirability of outsourcing the provision of public services depends
on their characteristics and market conditions.
[12] Il modello di cooperazione pubblico – privato è uno
strumento di particolare interesse per gli enti territoriali nel caso vogliano ottenere
investimenti, conoscenze e abilità provenienti dal settore privato. È stato
infatti evidenziato che: “Il coinvolgimento del socio privato per il
perseguimento di fini di interesse generale trova fondamento nella carenza in
seno alla Amministrazione delle competenze necessarie di cui ha la disponibilità
il socio privato, il quale resta operativo in ragione della specificità del
ruolo che deve assumere nell’attuazione dell’oggetto sociale”. Falzini P.
S., Società miste, PNRR e Servizi Economici di Interesse Generale.
[13] Come è ormai evidente in questa indagine si offrono
alcune delle ragioni per cui è da preferire il ricorso al libero mercato nella
gestione dei SPL anziché soluzioni organizzative che privilegino l’intervento
pubblico. Per completezza riportiamo l’idea di chi invece esprime entusiasmo e
fiducia verso l’in house providing inteso quale “modello in grado di
garantire efficienza ed efficacia senza disperdere il patrimonio pubblico di
conoscenza e competenza, conservando l’indirizzo politico dell’amministrazione
a garanzia di prestazioni che siano in grado di produrre utilità sociale ed economica
per cittadini e imprese”. Cuomo R. – Montanari G., In house providing:
una storia di successo.
Peraltro, non manca chi è incline a ravvisare una sorta di superiorità
degli affidamenti in house, quantomeno in particolari situazioni relative alla
gestione, ad esempio, dei trasporti pubblici o dei rifiuti. In questi servizi
di pubblica utilità, la continuità del servizio e la capacità di risposta
immediata alle emergenze diventano elementi cruciali. In questi contesti, il
ricorso a una gara potrebbe comportare rischi significativi, quali ritardi,
interruzioni o riduzioni della qualità del servizio. L’affidamento diretto del
servizio a soggetti in house sarebbe invece in grado di garantire che l’amministrazione
agisca con maggiore celerità e senza le rigidità che caratterizzano i contratti
con soggetti privati. Cfr. Fera L., M., L’in-house providing nel nuovo
codice dei contratti pubblici: tra libertà di autoorganizzazione amministrativa
e tutela della concorrenza e del mercato. A modesto parere di chi scrive,
la sensazione, che andrebbe certamente sottoposta a verifica, è che gli
affidamenti senza gara in generale, nonché quelli di emergenza, come anche i
paventati rischi di interruzione del servizio che si risolvono in comportamenti
anticoncorrenziali, siano invece delle scappatoie a cui fanno ricorso gli enti
locali per mantenere a tutti i costi la gestione dei servizi nella loro sfera
di competenza.
[14] L’ articolo 7 del Decreto, rubricato: Competenze
delle autorità di regolazione nei servizi pubblici locali a rete, dispone
che alle autorità di regolazione, nei rispettivi ambiti di competenza, spetta
l’individuazione dei costi di riferimento dei servizi, lo schema tipo di piano
economico – finanziario e gli indicatori dei livelli minimi di qualità dei
servizi.
[15] Tale indennizzo è pari al valore contabile degli
investimenti non ancora ammortizzati, rivalutato in base agli indici ISTAT, al
netto degli eventuali contributi pubblici connessi agli investimenti in
questione. (art. 19 TUSPL).
[16] Vale inoltre come principio generale quello
dell’applicazione delle modalità previste dalla disciplina in materia di
contratti pubblici per la realizzazione dei lavori connessi alla gestione della
rete, degli impianti e delle altre dotazioni patrimoniali, fatta salva la
possibilità di realizzare tali lavori in via diretta nel caso in cui
l’affidamento abbia avuto ad oggetto sia la gestione del servizio relativo alla
rete sia l’esecuzione dei lavori e il gestore sia qualificato ai sensi della
normativa vigente (art. 22).
[17] Confronta:
-Vaccari S., Le
tariffe dei servizi pubblici tra teoria economica e regolazione amministrativa.
-Soto Carrillo G., Regulación por precios tope.
-Stephen P. K., Principles
of price cap regulation.
[18] Cfr. Anac, Autorità nazionale anticorruzione, Relazione
annuale 2024. È rilevante ai fini della trasparenza dei SPL come nel sito
dell’Anac è attivo il servizio di pubblicazione e consultazione della
documentazione relativa agli affidamenti ed alla gestione dei servizi pubblici
locali di rilevanza economica dedicato ai cittadini alle imprese e alle
pubbliche amministrazioni. Questo servizio permette di reperire gli affidamenti
dei servizi attraverso un sistema di ricerca per filtri e mascherine. Le
ricerche restituiscono: l’ente affidante, l’inizio, la fine e l’importo del
contratto, la modalità di gestione, la tipologia del servizio, la tipologia di
atto (appalto o concessione) il territorio di affidamento e, in allegato il
testo per intero del contratto.
[19] Il nuovo art. 31-bis introduce inoltre sanzioni
pecuniarie da 5.000 a 500.000 euro in caso di omessa o incompleta ricognizione
periodica da parte dell’ente pubblico. Interessante quanto previsto dal ddl
concorrenza per il settore del trasporto ferroviario e su gomma a livello
regionale, un comparto particolarmente refrattario all’introduzione della
concorrenza. L'art. 4 prevede che: le Regioni dovranno pubblicare annualmente
un calendario delle gare per i contratti in scadenza fino al 2033. Si applicano,
inoltre, agli affidamenti regionali le stesse regole di trasparenza e
motivazione già previste per i servizi pubblici locali (D.lgs. 201/2022). In
caso andasse in porto il disegno di legge concorrenza per il 2025, entro il
2026 l’Autorità di regolazione dei trasporti (ART) emanerà linee guida per
migliorare la qualità degli affidamenti.