I servizi pubblici locali di rilevanza economica a rete: quale spazio per il libero mercato?

 

(Tempo di lettura 40 minuti - 13.09.2025)

I servizi pubblici locali di rilevanza economica a rete: quale spazio per il libero mercato?

Luis Daniel Angelucci

1.      Considerazioni generali

Ai fini del presente lavoro e salvo quanto sarà precisato, i termini “Servizi Pubblici Locali di rilevanza economica” e “Servizi di Interesse Economico Generale di livello locale” sono da intendersi come interscambiabili. Possiamo già anticipare che uno dei compiti qualificanti di tali tipologie di servizi è quello di contemperare le speciali missioni di servizio pubblico, che sono sotto l’influenza della politica che ne determina gli obiettivi, con le norme sulla concorrenza che promuovono l’apertura dei mercati.

Il tema della liberalizzazione dei Servizi Pubblici Locali di rilevanza economica a rete (SPL), inteso come la rimozione delle condizioni di ordine normativo per l’apertura al mercato dei servizi rivolti al pubblico che soddisfano bisogni della collettività, occupa uno spazio in cui si intersecano una pluralità di questioni di diversa natura. In una economia mista come la nostra, tali questioni interessano, soprattutto, la delicata relazione tra la libera iniziativa economica privata e l’esorbitante ruolo attivo dello Stato, e delle sue articolazioni territoriali, nel sistema economico.

S’è vero che la libertà d’impresa è, almeno in teoria, garantita dalla legge fondamentale, lo Stato sembrerebbe il dominus dell’economia in quanto giuridicamente legittimato ad intervenire, sulla base di criteri assai elastici (fini sociali, ambientali e di utilità generale) attraverso programmi e controlli delle attività economiche e per mezzo dell’assunzione diretta di servizi pubblici essenziali e situazioni di monopolio di preminente interesse generale (cfr. artt. 41 e 43 della Costituzione).[1]

In assenza di un sistema di organizzazione socioeconomica caratterizzato da una netta ed invalicabile demarcazione tra Stato e mercato, è opinione di chi scrive che, il bilanciamento tra intervento pubblico, da un lato, e spazio garantito agli attori privati, dall’altro, può trovare una soluzione più consona con una concezione aperta e liberale dell’economia laddove ci si trovi in concomitanza con uno Stato investito da un ruolo limitato alla sola regolazione dei servizi (promozione della concorrenza e cura dell’efficiente funzionamento dei mercati) anziché di gestione in prima persona dei medesimi.

Fatte queste premesse, qui si assume una posizione opposta ad un preponderante e indiscriminato intervento pubblico nell’economia[2] e in difesa del libero mercato, facendo leva almeno su due argomenti che fungono da chiavi di lettura delle riflessioni che seguono:

                     Ogni volta che il pubblico si espande lo fa a detrimento delle libertà individuali. Inoltre, forti dubbi, troppo spesso suffragati dalla realtà, si addensano sotto il profilo dell’efficienza e della qualità dei risultati delle gestioni pubbliche. Queste gestioni, non solo si alimentano voracemente delle risorse prelevate coattivamente dalle tasche dei contribuenti ma, inoltre, agiscono mosse da criteri di natura politica e non strettamente aziendale.

Questa indagine si propone di offrire una lettura critica della disciplina generale dei SPL di rilevanza economica a rete (distribuzione dell’energia elettrica e del gas, servizio idrico integrato, gestione dei rifiuti urbani e trasporto pubblico locale) cercando di delineare gli spazi oggettivi in cui si muove il principio della libera concorrenza nel settore in esame e tentando di offrire risposte ad alcuni dei tanti interrogativi posti dal tema, assumendo una prospettiva pro – concorrenziale. Restano fuori da questa esposizione i Servizi Pubblici Locali non a rete (quali impianti sportivi, parcheggi, servizi cimiteriali e funebri ed il trasporto scolastico) e i SPL privi di rilevanza economica, e cioè, quei servizi realizzati senza scopo di lucro (i servizi sociali, culturali e del tempo libero).

Fare luce sul quadro generale della liberalizzazione delle public utilities nel nostro Paese non è cosa facile per diversi motivi. In primo luogo, bisogna considerare che gli enti locali, interpreti di quelle esigenze della collettività che vengono soddisfatte mediante i SPL, si contano in gran numero e sono sparsi per tutto il territorio nazionale.

In secondo luogo, i dati relativi a tali servizi non sono sempre facilmente reperibili. In terzo luogo, come avremo modo di dimostrare, l’apertura al mercato dei SPL implica un sensibile mutamento di prospettiva che, a modesto parere di chi scrive, non riguarda solo la sfera giuridico – economica (assetto organizzativo, regolatorio e gestionale dei servizi) ma anche, e soprattutto, interessi politici a lungo stratificati.

Infine, anche il fatto che la cultura e la politica siano dominate dal generalizzato statalismo, si ripercuote sulla spontanea accettazione del mercato in un ruolo da protagonista: nell’ambito dei SPL, la libertà di iniziativa privata non ha vita facile e, non ci si stancherà mai di affermarlo, incontra notevoli resistenze.

A chiusura di questa riflessione introduttiva e, a conferma che è possibile realizzare un proficuo ridimensionamento dell’asfissiante ruolo dello Stato nell’economia locale, ci sembra quantomeno doveroso aggiungere almeno dei brevi cenni a due significative esperienze pregresse da assumere come potenziali modelli quando ci si avvicina al controverso tema che ha per oggetto il rapporto tra pubblico e privato nell’economia.

Per quanto integrino politiche economiche di ampio respiro e lontane nel tempo, statisti del calibro di Margaret Thatcher in Gran Bretagna (1979 – 1990) e di Ronald Reagan negli Stati Uniti (1981 – 1989) hanno affrontato con ferma determinazione, ed in chiave liberale, i problemi socioeconomici causati dalla crescita ipertrofica dello Stato, delle regolamentazioni, della spesa pubblica, delle imposte e dal generalizzato immobilismo della burocrazia.

S’è vero che tali esperienze hanno fatto ricorso soprattutto a deregolamentazioni e privatizzazioni in larga scala, di asset industriali e di partecipazioni pubbliche, è documentato come, soprattutto in Gran Bretagna, i governi conservatori della Thatcher hanno impiegato il metodo della liberalizzazione e dell’outsourcing attraverso procedure concorsuali per ridurre i costi, aumentare la qualità, la trasparenza, l’efficienza e favorire l’innovazione tecnologica nell’ambito dei servizi.[3]

Nell’orbita delle politiche neoliberali degli anni Ottanta del secolo scorso, ruotava la dottrina del New Public Management, uno stile alternativo di intendere il settore pubblico che, accanto all’innesto di principi aziendalistici nella pubblica amministrazione tesi alla misurazione dei risultati, prevedeva anche lo strumento dell’outsourcing con cui si consentiva ad aziende private di partecipare a gare di appalto (procedure ad evidenza pubblica) per fornire servizi pubblici. Il legato neoliberale appena accennato rappresenta un essenziale punto di riferimento per un approccio critico alla materia dei SPL: da un punto di vista strettamente economico la gestione di una public utility da parte di un ente locale è da considerarsi una anomalia in netto contrasto con il principio di libertà economica.[4]

Infine, un esempio vincente da tenere sotto osservazione, è rappresentato dalla folgorante impresa, ancora in pieno sviluppo, del presidente Javier Milei che, tra le tante misure attuate per emancipare e rilanciare l’economia Argentina (tagli fiscali e dei sussidi, liberalizzazione dei prezzi, privatizzazione nei settori dell’energia, dei trasporti ferroviari e autostrade, tanto per citarne alcune) è altresì compreso espressamente l’ampliamento del mercato anche attraverso la rimozione dell’obbligo di favorire imprese locali nei contratti di appalto pubblici.[5]

 

2.      I Servizi Pubblici Locali e la pesante eredità del passato:

dal socialismo municipale al timido avvio di un tortuoso processo di riforma

 

Nel nostro Paese, l’intervento pubblico nell’economia locale, che si può definire anche come “socialismo municipale”, è un fenomeno perdurante e dalle radici profonde che risalgono fino ai primi del Novecento quando fu varata la legge n. 103 del 1903 (legge Giolitti) con cui si attribuiva ai comuni il potere di assumere l’esercizio diretto dei pubblici servizi gestiti soprattutto mediante aziende municipalizzate in regime di sostanziale monopolio. Nei casi in cui l’autorità locale si rivolgeva ai privati per la gestione del servizio mediante concessioni, questi erano scelti in via discrezionale senza alcun confronto concorrenziale.

Tipico del socialismo municipale è la tendenziale sovrapposizione di funzioni tutte attratte nella sfera di competenze del soggetto pubblico: proprietà, regolazione, governo e, naturalmente, anche la gestione del servizio. Al contrario l’esigenza di tutelare la concorrenza nel settore dei SPL presuppone la necessaria separazione delle funzioni di indirizzo politico, regolazione e gestione del servizio.

Malgrado l’assenza di una compiuta legittimazione giuridica dell’azione dei comuni nell’ economia locale attraverso istituti tipici del diritto privato, quali le società per azioni (c.d. “azionariato comunale”), di tali società è stato fatto un largo uso in un’ampia gamma di settori compreso quello della gestione dei SPL a partire dai primi del Novecento fino alla loro codificazione avvenuta nel 1990.

Il socialismo municipale, la cui disciplina è stata integrata nel ventennio fascista con il Regio decreto 15 ottobre 1925, n. 2578, si è protratto fino all’era repubblicana e già negli anni Sessanta del secolo scorso, le aziende municipalizzate mostravano evidenti segni di inadeguatezza e limiti per quanto riguarda l’efficienza e l’economicità della gestione, con una crescita dei costi e dei disavanzi completamente fuori controllo, dando peraltro prova di scarsi risultati anche sotto il profilo della qualità dei servizi.[6]

Lo stesso anno di istituzione dell’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato, autorità di regolazione indipendente per il corretto funzionamento del mercato a cui spettano decisioni di natura tecnico – economica (legge n. 287 del 1990), Il legislatore delle autonomie, con legge n.142 del 1990, ha avuto la premura di riaffermare le tradizionali forme di gestione a cui gli enti locali potevano fare ricorso (in economia, mediante concessione a terzi, a mezzo azienda speciale, a mezzo società per azioni), in via diretta e del tutto discrezionale, per l’erogazione dei SPL, senza nulla aggiungere sul tema della concorrenza e del mercato.

A nulla è valsa, se non a legittimare e ad espandere la sfera di azione dei comuni “imprenditori”, l’introduzione degli strumenti privatistici di natura societaria come forma gestionale. Inoltre, a conferma del carattere chiuso del sistema dei SPL, per l’affidamento a terzi mediante concessioni di pubblico servizio gli interpreti erano allora costretti ad integrare il quadro normativo con il Regio decreto n. 1175 del 1931 che, all’articolo 267, imponeva che il rilascio della concessione fosse preceduto da uno strumento assolutamente inadatto come l’asta pubblica, fatta salva la facoltà di procedere attraverso gli espedienti della licitazione e della trattativa privata in presenza di non ben definite “circostanze speciali”.

Neppure con l’approvazione del Testo Unico degli Enti Locali con il Decreto legislativo n. 267 del 2000 veniva introdotto nell’ordinamento nazionale, fin qui vagamente delineato, qualsivoglia meccanismo di concorrenza per il mercato, mantenendo fermi i connotati di un modello organizzativo di tipo industriale dominato dal monopolio pubblico locale.

Tutto ciò era assolutamente insostenibile se si pensa che già il Trattato istitutivo della Comunità Economica Europea (1957) aveva come obiettivo l’instaurazione di un mercato comune concorrenziale (mercato interno dell’Unione europea dal 1993), coadiuvato dalle fondamentali libertà di circolazione delle persone, delle merci, dei servizi e dei capitali a cui hanno fatto seguito politiche attuative tendenti ad integrare l’economia europea (senza prendere posizione rispetto alla natura pubblica o privata della proprietà degli operatori) e orientate verso le liberalizzazioni.

Si rendeva così indispensabile una armonizzazione della disciplina nazionale dei SPL con il diritto comunitario con l’effettiva introduzione di un regime concorrenziale, una soluzione che incontrava resistenze in Parlamento ma, soprattutto, nelle amministrazioni locali che temevano, a ragione, una perdita di controllo di settori impropriamente soggiogati alla politica locale

L’art. 35 della l. n. 448 del 2001 (legge finanziaria per il 2002), a distanza di quasi un secolo dalla legge Giolitti, ha finalmente fatto un primo timido tentativo di eliminare le tradizionali gestioni dirette, sostituendole con affidamenti dei servizi determinati dal previo esperimento di una procedura competitiva ad evidenza pubblica (concorrenza “per” il mercato).[7]

Tale riforma, sebbene aprisse degli spazi verso l’esternalizzazione dei SPL, non prendeva in considerazione l’eventuale ipotesi di consentire, quando fosse tecnicamente possibile, la competizione di più imprese contemporaneamente nello stesso ambiente per fornire servizi essenziali alla collettività (concorrenza “nel” mercato). La novella formulata dal legislatore nazionale nel 2001, sotto la forte pressione esercitata dalle procedure d’infrazione avviate dalla Commissione UE, inaugura un tortuoso processo di trasformazione dell’assetto normativo dei SPL.

Una precisazione, tuttavia, è dovuta: ancorché l’art. 35 della legge finanziaria per il 2002 rappresenta un primo passo del diritto interno verso il mercato e, malgrado la diretta applicabilità di buona parte del diritto euro – unitario (compresa la giurisprudenza della Corte di giustizia dell’Unione europea), il dominio degli enti territoriali sui SPL è stato negli anni a seguire solo parzialmente eroso da un flusso normativo nazionale tendenzialmente favorevole alle istanze del libero mercato. In realtà, le successive norme nazionali si sono dimostrate disorganiche, talvolta incoerenti, incerte, dal ritmo altalenante ed hanno quindi incoraggiato comportamenti fuori dalle regole del mercato. Inoltre, le libertà economiche a livello locale, quando non ostacolate da esplicite barriere legali, hanno praticamente da sempre e fino ad oggi, incontrato le forti resistenze della politica, della burocrazia e degli interessi clientelari, con tutte le disastrose conseguenze che ciò comporta per i cittadini nella loro duplice veste di contribuenti ed utenti dei pubblici servizi.

L’instabilità della cornice normativa la si desume anche dalla l. n. 326 del 2003 con cui si realizzava già la prima “riforma della riforma” con cui veniva cristallizzato nell’ordinamento nazionale l’istituto di derivazione europea dell’in house providing. Se da un lato la giurisprudenza euro – unitaria ha contribuito a fissare i limiti operativi di tale modello organizzativo, gli interventi della giurisdizione con sede in Lussemburgo hanno anche finito per legittimarlo come vera e propria eccezione alla concorrenza a salvaguardia del principio di autoorganizzazione delle autorità amministrative. Per questo motivo, gli affidamenti “in house” rappresentano una via di fuga verso il passato che, secondo una prospettiva liberale dell’economia, va disapprovata: quando l’opzione dell’amministrazione ricade sull’autoproduzione del servizio, ciò comporta automaticamente l’esclusione degli operatori privati che potrebbero apportare tutta la loro esperienza, le risorse e le capacità organizzative per la fornitura del servizio pubblico. A ciò si deve aggiungere che, a nostro avviso, sembra più equo e sostenibile il profitto di un soggetto privato, che andrebbe comunque ad operare in un contesto regolato, anziché una macroscopica inefficienza pubblica. L’in house providing è da considerarsi una porta aperta al potere degli enti locali che vogliano conferire l’erogazione del servizio a società a capitale interamente pubblico, anche se ciò, fortunatamente, incontra dei limiti.

Invero, il modello in house è legittimo a patto che l’ente titolare del capitale sociale eserciti sulla società un controllo analogo a quello esercitato sui propri servizi e che tale società realizzi la parte più importante della propria attività con l’ente o gli enti pubblici che esercitano il controllo. La portata e le condizioni poste per il legittimo ricorso all’in house providing è senza dubbio uno dei fattori determinanti degli equilibri tra il ruolo dell’amministrazione locale e quello del mercato nell’ambito dei SPL.

È interessante notare come, tra il 2008 ed il 2010 erano stati fatti passi importanti nella direzione di un approccio che combinava la privatizzazione/esternalizzazione delle attività di gestione con lo strumento di partenariato pubblico – privato attraverso le società miste dei SPL, con contestuale restringimento del ricorso all’autoproduzione del servizio pubblico (l’istituto dell’in house providing veniva considerato come strumento residuale, si veda in proposito l'art. 23-bis - Servizi pubblici locali di rilevanza economica – del decreto-legge 25 giugno 2008, n. 112). Sorprendentemente, e a conferma di quanta diffidenza incontrino le ragioni del libero mercato nel nostro Paese, le norme sinteticamente richiamate sono state travolte dalla consultazione referendaria del giugno 2011.[8]

L’affannosa ricerca di un impianto normativo stabile per i SPL è culminata, circa venti anni dopo la legge finanziaria del 2002, con l’approvazione del Decreto legislativo. n. 201 del 2022 i cui principali istituti saranno oggetto di una panoramica generale nella sezione successiva del presente lavoro.

 

3.      La disciplina dei SPL di rilevanza economica a rete dettata dal Testo Unico dei Servizi Pubblici Locali

 

È ad oggi innegabile che le public utilities, oltre a quella conflittualità sostanziale tra le diverse impostazioni e definizioni dei ruoli tra pubblico e privato, principale oggetto della presente disamina, esprimono una rilevanza centrale per la qualità della vita e per il benessere dei cittadini, oltre che per la competitività e la crescita del sistema economico. Da qui la necessità di giungere ad un saldo ed organico quadro normativo della materia. Indubbiamente, l’impegno preso dal governo Draghi (in carica dal 13 febbraio 2021 al 22 ottobre 2022) con la Commissione europea, nell’ambito del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (PNRR), ha dato una spinta notevole all’approvazione, da parte del governo Meloni, del decreto legislativo. n. 201 del 2022 sul riordino della disciplina dei servizi pubblici locali di rilevanza economica (“TUSPL” oppure “il Decreto") con cui si è data attuazione alla delega conferita dall'articolo 8 della legge n. 118/2022 (Legge annuale per il mercato e la concorrenza 2021).[9]

Va chiarito fin da subito che, il Decreto di riordino è minato da soluzioni di compromesso e scelte normative che sbarrano la strada alla piena realizzazione delle ragioni della libera iniziativa economica e del mercato nei SPL. Malgrado qualche aspetto positivo non siamo affatto di fronte a quella svolta decisiva verso il mercato di cui tanto bisogno ha il settore dei SPL.

L’impianto normativo del TUSPL si compone di n.39 articoli distribuiti tra i seguenti titoli:

·        Titolo I – Principi generali, ambito di applicazione e rapporti con le discipline di settore.

·        Titolo II – Organizzazione e riparto delle funzioni in materia di servizi pubblici locali.

·        Titolo III – Istituzione e organizzazione dei servizi pubblici locali di rilevanza economica.

·        Titolo IV – Disciplina delle reti, degli impianti e delle altre dotazioni patrimoniali

·        Titolo V – Regolazione del rapporto di pubblico servizio, vigilanza e tutela dell’utenza.

·        Titolo VI – Disposizioni finali.

Con le pagine a seguire si procederà, mantenendo sempre fede alla sostanza del dettato normativo, a semplificare, per quanto possibile, i termini per agevolare la comprensione delle singole disposizioni. Mediante il Decreto si è data una disciplina generale dei servizi di interesse economico generale (SIEG) locali.

Si tratta di una disciplina minuziosa, a tratti anche fin troppo dettagliata e complessa, dell’istituzione, organizzazione e gestione di quei servizi, previsti per legge o che gli enti locali ritengono necessari per soddisfare i bisogni delle comunità locali, in modo da garantire l’omogeneità dello sviluppo e la coesione sociale. I SPL integrano i servizi erogati (o suscettibili di essere erogati) dietro corrispettivo economico su un mercato e che non sarebbero svolti senza un intervento pubblico o sarebbero svolti a condizioni differenti in termini di:

  • 1.      Accessibilità fisica ed economica.
  • 2.      Continuità.
  • 3.      Non discriminazione.
  • 4.      Qualità e sicurezza.

 

Come si può notare, la definizione offerta dal Decreto di riordino (art, 2 lett. c), salda l’esistenza stessa e i connotati qualificanti del servizio pubblico locale alla presunzione che l’intervento pubblico sia determinante per lo svolgimento delle attività in cui esso si sostanzia. Tutto ciò comporta una impostazione fortemente orientata verso il soggetto pubblico che spazia dalla definizione generale alla nascita del servizio pubblico locale ed è coerente con l’impianto che rimette nelle mani delle autorità locali la decisione discrezionale di istituire servizi di interesse economico generale locali. Tale decisione, va sottolineato, si basa su una attività amministrativa di tipo istruttorio a carico dell’ente locale che dovrebbe, responsabilmente eseguire un rigoroso confronto tra le diverse soluzioni possibili e da cui deve risultare, senza dubbio alcuno, il fallimento del mercato nel servire le esigenze della comunità locale.

il Decreto di riordino (art. 1), ha per oggetto tutti i principi necessari per raggiungere e mantenere un alto livello di qualità, sicurezza e accessibilità, la parità di trattamento nell’accesso universale e i diritti dei cittadini e degli utenti. Ancora più interessante, almeno dalla nostra prospettiva, è che il raggio d’azione del Decreto assicura esplicitamente la tutela e la promozione della concorrenza, la libertà di stabilimento e la “libertà di prestazione dei servizi per gli operatori economici” interessati alla gestione di servizi di interesse economico generale a livello locale. Questo dovrebbe essere il fulcro dell’intera normativa in esame dove, purtroppo, si riversano tanti altri valori che tendono a frenare e diluire lo slancio del mercato.

L’articolo 3, primo comma, dispone che i servizi di interesse economico generale di livello locale rispondono alle esigenze della comunità di riferimento e alla soddisfazione dei bisogni dei cittadini e degli utenti nel rispetto dei principi di sussidiarietà (misura dell’indipendenza dell’ente locale dal potere centrale) e proporzionalità (esercizio del potere in maniera adeguata alle circostanze di fatto e agli interessi coinvolti dall’azione amministrativa). Il secondo comma, invece, introduce tre momenti fondamentali dei servizi pubblici di interesse economico generale di livello locale: l’istituzione, la regolazione e la gestione che devono rispondere ai seguenti principi:

 

 

1.      Concorrenza

2.      Sussidiarietà (anche orizzontale)

3.      Efficienza nella gestione

4.      Efficacia nella soddisfazione dei bisogni dei cittadini

5.      Sviluppo sostenibile

6.      Produzione di servizi quantitativamente e qualitativamente adeguati

7.      Applicazione di tariffe orientate a costi efficienti

8.      Promozione di investimenti in innovazione tecnologica

9.      Proporzionalità e adeguatezza della durata

10. Trasparenza, sulle scelte compiute dalle amministrazioni e sui risultati delle gestioni

L’ambito di applicazione del decreto legislativo n. 201 del 2022 si estende a tutti i SIEG prestati a livello locale e comporta l’integrazione delle normative di settore fino a prevalere su di esse a meno che non sia disposto diversamente. Tra le disposizioni finali, il Decreto detta le norme di coordinamento tra la disciplina generale e quelle settoriali nelle materie del trasporto pubblico locale (art. 32), del servizio idrico e della gestione dei rifiuti (art. 33) e, infine, della distribuzione dell’energia elettrica e del gas naturale (art. 35).

Altra definizione importante, in quanto completa l’oggetto della presente indagine, è quella di servizi pubblici locali a rete e cioè, i servizi che sono suscettibili di essere organizzati tramite reti strutturali o collegamenti funzionali necessari tra le sedi di produzione o di svolgimento della prestazione oggetto di servizio, sottoposti a regolazione ad opera di un’autorità indipendente, art. 2, lett. d). Il punto si collega alla tematica di ampio respiro che riguarda la necessità di garantire l’accesso dei gestori dei servizi a rete alle c. d. essential facilities, ossia a quelle infrastrutture necessarie per lo svolgimento dei SPL (si veda sotto, paragrafo 3.2).

Un tema centrale nei dibattiti sui servizi pubblici locali è quello della necessità di rimodulare l’offerta dei servizi su ambiti territoriali che vadano oltre i confini del singolo ente locale in modo da ottenere un contenimento dei costi dettato anche (ma non solo) dalla riduzione del numero di procedure da espletare per l’aggiudicazione dei contratti di servizio.

Per ovviare all’eccessiva e generalizzata frammentazione dei bacini di utenza dei SPL, l’art. 5 del TUSPL prevede alcuni meccanismi di incentivazione delle aggregazioni a più livelli, rivolti a diversi enti territoriali. A livello ministeriale sono stabilite le misure incentivanti in favore degli enti locali che aderiscono alle riorganizzazioni e aggregazioni descritte qui di seguito.

Alle regioni spetta il compito di incentivare gli enti locali alla riorganizzazione degli ambiti o bacini di riferimento dei SPL, anche tramite aggregazioni volontarie, “preferibilmente” su scala regionale o comunque in modo da consentire economie di scala (riduzione dei costi e aumento dell’efficienza legata ad un maggior volume della produzione) o di scopo (risparmio derivante dalla produzione congiunta di prodotti diversi la cui produzione viene unificata in un unico impianto per ridurre i costi). Alle province spetta l’esercizio di funzioni di supporto tecnico – amministrativo e coordinamento in relazione ai provvedimenti e alle attività nella materia dei SPL.

A livello comunale, il primo meccanismo di raccordo prevede la possibilità che il comune capoluogo possa essere delegato dai comuni compresi nella città metropolitana ad esercitare le funzioni comunali in materia di SPL. È sempre al livello della città metropolitana che viene potenziata la gestione integrata anche in relazione alla realizzazione e gestione delle reti e degli impianti funzionali all’erogazione del servizio. Malgrado si tratti di un aspetto di primordiale importanza, il nodo dell’esigenza di dilatare l’estensione territoriale dell’erogazione dei SPL non sembra possa essere sciolto efficacemente dalle disposizioni illustrate dal momento che esse contengono delle mere esortazioni e non obblighi capaci di determinare in maniera decisiva i comportamenti degli enti territoriali in tema di bacini di servizio.

L’articolo 6, primo comma del Decreto, dopo aver affermato le competenze delle autorità nazionali di regolazione (profili economici, tariffari e qualitativi), a livello locale ha giustamente introdotto il principio di separazione delle funzioni di regolazione, indirizzo e controllo, da un lato, e quella di gestione dei SPL a rete dall’altro: le funzioni sono da intendersi distinte e si esercitano separatamente. Il corollario di tale prescrizione è che gli enti di governo dell’ambito o le Autorità di regolazione e controllo dei SPL non possono partecipare (in via diretta o indiretta) a soggetti incaricati della gestione del servizio.

Inoltre, in omaggio al principio di separazione delle funzioni vengono introdotte una serie di cause di incompatibilità e di inconferibilità tra soggetti a cui spettano funzioni di regolazione e soggetti incaricati della gestione del servizio.

1.      Incompatibilità. Nel caso in cui un ente locale eserciti funzioni regolatorie assuma anche la gestione del servizio: le strutture, i servizi, gli uffici e le unità organizzative dell’ente, i loro dirigenti e dipendenti preposti alle funzioni di regolazione non possono svolgere alcun compito relativo all’affidamento e alla gestione.

2.      Inconferibilità. Non possono essere conferiti incarichi professionali di amministrazione o di controllo societario, né incarichi inerenti alla gestione del servizio:

a.      Ai componenti di organi di indirizzo politico, ai dirigenti e ai responsabili dell’ente competente all’organizzazione, regolazione, vigilanza e controllo.

b.      Ai componenti di organi di indirizzo politico di ogni altro organismo che espleti funzioni di stazione appaltante.

c.      Ai consulenti per l’organizzazione o regolazione del servizio.

Il messaggio è chiaro e veicola un principio fondamentale che dovrebbe essere rispettato rigorosamente se non si vuole rendere vano l’intero riordino: chi regola e chi è titolare di funzioni di indirizzo politico non deve essere attivo nella gestione dei servizi pubblici locali.

È di notevole importanza l’esercizio della funzione regolatoria in vista dei momenti determinanti di concepimento e sviluppo dei servizi pubblici, infatti, le autorità di regolazione nei SPL a rete, oltre a predisporre schemi di bandi di gara e schemi di contratto tipo, individuano, per i loro ambiti di competenza, i costi di riferimento dei servizi, lo schema tipo di piano economico – finanziario e indicatori e livelli minimi di qualità dei servizi anche ai fini dei seguenti atti:

 

1.      Istruttoria finalizzata all’istituzione di un nuovo SIEG di livello locale (art. 10, comma 4).

2.      Valutazione finalizzata alla scelta della modalità di gestione (art. 14 comma 2).

3.      Deliberazione di affidamento in house del servizio (art. 17 comma 2).

Tuttavia, nell’ambito delle competenze che afferiscono alla sfera pubblica non troviamo esclusivamente quelle di natura regolatoria, difatti, gli enti locali, non solo assicurano la prestazione dei servizi di interesse economico generale di livello locale ad essi attribuiti dalla legge ma, hanno anche un ruolo centrale contraddistinto dal potere, ad alto contenuto politico, di istituire SIEG, sempre di livello locale, che ritengono necessari per assicurare la soddisfazione dei bisogni delle comunità che rappresentano.

Questo ruolo cruciale degli enti locali nella genesi del SPL e nel soddisfacimento dei bisogni della comunità va coniugato con l’espresso richiamo al principio di sussidiarietà orizzontale che impone, per la realizzazione dell’interesse generale, che si instaurino dei rapporti tra soggetti pubblici e privati (cittadini e imprese).

A chiusura dell’art. 10 del Decreto (4° comma), troviamo l’onere istruttorio, che grava sull’ente locale che abbia intenzione di istituire un SIEG: in sostanza l’ente deve procedere ad un confronto tra le diverse soluzioni possibili da cui risulti che la prestazione dei servizi da parte delle imprese liberamente operanti nel mercato è inidonea a garantire il soddisfacimento dei bisogni delle comunità locali.

Con la deliberazione di istituzione del servizio pubblico locale si fa un rendiconto degli esiti dell’istruttoria da cui risulta la necessità del servizio e si verifica se la prestazione del servizio può essere assicurata attraverso l’imposizione di obblighi di servizio pubblico a carico di uno o più operatori senza limitare il numero di soggetti abilitati ad operare sul mercato. Anche di tale accertamento si da conto nella delibera di istituzione del servizio precisando le eventuali compensazioni economiche (cfr. art. 10, comma 5 e art. 12).

Un grado di intensità maggiore dell’intervento delle autorità locali nell’economia, rispetto alla semplice imposizione di obblighi di servizio pubblico, si ha nella forma del mantenimento di diritti speciali o esclusivi che sono ammessi soltanto:

1.      Se sono in conformità al diritto dell’Unione europea.

2.      Se sono indispensabili all’adempimento della funzione affidata al gestore del SPL.

3.      Se non ci sono misure meno restrittive della libertà d’impresa.

4.      Sulla base di un’adeguata analisi e una valutazione economica a cura dell’ente locale mediante la deliberazione di istituzione del servizio (art. 10, comma 5) in cui si da conto della necessità di attribuire i diritti speciali o esclusivi.

 

3.1 La scelta del modello di gestione dei SPL con particolare attenzione agli affidamenti in house

Per quanto riguarda il delicato tema della scelta della modalità di gestione del servizio pubblico locale, l’articolo 14, primo comma, del Decreto legislativo n. 201/2022, invita a tener conto del principio di autonomia nell’organizzazione dei servizi, opportunamente coniugato con i principi generali del servizio pubblico locale di cui all’articolo 3, primo fra tutti il principio di concorrenza (vedi sopra). Alla luce di tali principi, nelle ipotesi in cui gli enti locali ritengono che il perseguimento dell’interesse pubblico debba essere assicurato affidando il servizio pubblico ad un singolo operatore o a un numero limitato di operatori, la disposizione richiede agli enti locali di procedere all’organizzazione dei servizi a rete con una delle seguenti modalità, tutte aventi, almeno in apparenza, pari dignità e poste sullo stesso piano:

a)      affidamento a terzi mediante procedura a evidenza pubblica secondo le modalità previste dall’articolo 15, nel rispetto del diritto dell’Unione europea (esternalizzazione);

b)     affidamento a società mista, secondo le modalità previste dall’articolo 16, nel rispetto del diritto dell’Unione europea (cooperazione);

c)      affidamento a società in house, nei limiti fissati dal diritto dell’Unione europea, secondo le modalità previste dall’articolo 17 (autoproduzione).

Ai fini della scelta della modalità di gestione del servizio e della definizione del rapporto contrattuale, l’ente locale deve procedere ad una valutazione che precede l’affidamento che tenga conto, insieme alle caratteristiche tecniche ed economiche del servizio da prestare, anche dei dati e delle informazioni che emergono dalle verifiche periodiche sulla situazione gestionale dei SPL (cfr. art 30) nonché dei seguenti parametri:

1.      profili di qualità del servizio;

2.      investimenti infrastrutturali;

3.      situazione delle finanze pubbliche;

4.      costi per l’ente locale e per gli utenti;

5.      risultati prevedibilmente attesi in relazione alle diverse alternative;

6.      risultati prevedibilmente attesi rispetto a esperienze paragonabili;

7.      risultati della eventuale gestione precedente del medesimo servizio sotto il profilo degli effetti sulla finanza pubblica, della qualità del servizio offerto, dei costi per l’ente locale e per gli utenti e degli investimenti effettuati.

Siamo di fronte a parametri di notevole interesse che, se interpretati in senso pro – concorrenziale, possono esprimere un vantaggio per le potenziali future gestioni esternalizzate. Si allude qui alla possibilità che i SPL attraggano preziosi capitali privati necessari allo sviluppo e consolidamento degli asset infrastrutturali, oppure, al caso di finanze pubbliche in difficoltà, o di pregresse esperienze gestionali non proprio brillanti, tutte fattispecie che potrebbero far pendere l’ago della bilancia in favore di affidamenti a terzi con tutte le garanzie offerte dall’applicazione rigorosa di procedimenti concorrenziali ad evidenza pubblica. Va da sé che il settore in esame avrebbe tanto da guadagnare da procedure amministrative snelle e da regole semplici e chiare. Sotto questo profilo il TUSPL appare piuttosto prolisso, quanto meno nell’abbondanza dei valori, degli interessi, dei termini e dei parametri che gli interpreti sono chiamati a considerare.

Tornando al risultato della valutazione, esso è contenuto in una relazione propedeutica all’affidamento del servizio e comprende anche le ragioni e la sussistenza dei requisiti previsti dal diritto dell’Unione europea per la forma prescelta con illustrazione degli obblighi di servizio pubblico e delle relative compensazioni economiche (nel caso siano previste) e i connessi criteri di calcolo anche al fine di evitare sovracompensazioni. (cfr. art. 14, comma 3)

Infine, per assicurare la realizzazione degli interventi infrastrutturali necessari ai soggetti affidatari del servizio, gli enti di governo dell’ambito, integrano la relazione di cui sopra allegando il piano economico – finanziario contenente anche la proiezione, per tutta la durata dell’affidamento, dei costi e dei ricavi, degli investimenti e dei relativi finanziamenti. Tale piano deve essere asseverato in alternativa: da un istituto di credito, da una società di servizi iscritta all’albo degli intermediari finanziari, da una società di revisione o da revisori legali (cfr. art 14, comma 4).

La prima modalità di affidamento del SIEG di livello locale integra la classica ipotesi di concorrenza “per” il mercato tra più operatori, segue le regole vigenti in materia di contratti pubblici e garantisce l’accesso del soggetto privato che vince la competizione nel delicato segmento della gestione dei servizi.

In relazione alle caratteristiche del servizio, la figura da preferire e quella della concessione di servizi[10] anziché quella degli appalti pubblici di servizi, in modo da assicurare l’effettivo trasferimento del rischio operativo in capo all’operatore concessionario del servizio (art. 15).

È nostra opinione che, essendoci tra gli obiettivi dell’assetto normativo in esame quello di garantire valori essenziali come la concorrenza, l’efficienza e l’efficacia delle gestioni, la produzione di servizi adeguati per qualità e quantità, la promozione degli investimenti e le tariffe orientate ai costi, il Decreto, non doveva semplicemente tentare di contenere le gestioni in house tramite l’onere motivazionale (di cui si dirà a breve), ma avrebbe dovuto riservare una vera e propria corsia preferenziale per l’affidamento a terzi mediante procedura a evidenza pubblica. Infatti, ci sono studi che dimostrano che l’outsourcing, sebbene richieda una particolare attenzione per mantenere alti i livelli di qualità del servizio esternalizzato e facendo attenzione alle caratteristiche del mercato in cui viene applicato, è in grado di realizzare prestazioni ad alta efficienza nell’ambito dei servizi pubblici, con minori costi per la collettività e con sostanziali vantaggi sotto il profilo dell’innovazione.[11] Si deve sempre tener presente che, a prescindere dalla modalità di gestione scelta dalle amministrazioni competenti, quello della qualità delle prestazioni è un aspetto che interessa molti passaggi del Decreto di riordino.

La seconda modalità di affidamento dei SIEG di livello locale configura una via di mezzo ed è quella della società a partecipazione mista pubblico – privata, disciplinata nel dettaglio dall’articolo 17 del decreto legislativo n. 175 del 2016 (Testo unico in materia di società a partecipazione pubblica). La materia societaria è piuttosto complessa e meriterebbe uno spazio ad hoc che non possiamo concedere. Qui basti osservare che la regola di base per la forma di gestione del partenariato pubblico – privato, è che la quota di partecipazione del soggetto privato non può essere inferiore al 30% e la selezione del medesimo si svolge con procedure di evidenza pubblica a norma dell'articolo 5, comma 9, del decreto legislativo n. 50 del 2016 e ha per oggetto, al contempo, la sottoscrizione o l'acquisto della partecipazione societaria da parte del socio privato e l'affidamento del contratto di appalto o di concessione oggetto esclusivo dell'attività della società mista (c. d. gara a doppio oggetto).[12]

La terza tipologia di affidamento prevista per i SIEG a livello locale è quella della società in house, nei limiti e secondo le modalità di cui alla disciplina in materia di contratti pubblici e di cui al decreto legislativo n. 175 del 2016. L’articolo 16 di tale decreto è dedicato, appunto, alle società in house che, come abbiamo accennato, ricevono affidamenti diretti di contratti pubblici dalle amministrazioni pubbliche che esercitano su di esse il controllo analogo a patto che non ci sia partecipazione di capitali privati, salvo eventuali eccezioni prescritte da norme di legge. Oltre alle dettagliate prescrizioni dettate per l’assetto organizzativo delle società in house, l’articolo 16 richiede agli statuti delle società di prevedere che, oltre l’ottanta per cento del loro fatturato sia effettuato nello svolgimento dei compiti a esse affidati dall'ente pubblico o dagli enti pubblici soci. In pratica, l’in house providing rappresenta, insieme, una eccezione alla concorrenza (e sarebbe molto positivo se in tal senso fosse sempre considerata in sede applicativa) e un modello gestionale dove difetta la terzietà dell’ente controllato che è una vera e propria propaggine organizzativa dell’ente locale.[13]

Secondo quanto prescritto dall’articolo 17 comma 2 del TUSPL, nei casi di affidamenti in house che superano le soglie di rilevanza europea in materia di contratti pubblici (e fatto salvo il divieto di artificioso frazionamento delle prestazioni per eludere le procedure di gara), oltre ai vincoli di cui sopra, si aggiunge una previsione che va certamente salutata con favore in quanto tende a circoscrivere gli affidamenti in house. Sin tratta dell’introduzione di un qualificato onere di motivazione che, a ben vedere, conferisce un carattere di vera e propria eccezionalità all’in house providing. All’aggravio motivazionale soggiacciono tutti gli enti che decidono di dare corso all’autoproduzione del servizio in quanto devono esplicitare le ragioni del mancato ricorso al mercato illustrando, sulla base degli atti e degli indicatori emersi attraverso l’esercizio della funzione regolatoria (cfr. artt 7 e 9 del dlgs. 201/2022)[14], i benefici per la collettività della forma gestionale prescelta con riguardo:

1.      agli investimenti;

2.      alla qualità del servizio;

3.      ai costi dei servizi per gli utenti;

4.      all’impatto sulla finanza pubblica;

5.      agli obiettivi di universalità, socialità e tutela dell’ambiente;

6.      alla accessibilità dei servizi;

La giustificazione della scelta va inoltre precisata in relazione ai risultati conseguiti da eventuali pregresse gestioni in house, tenendo conto dei dati e delle informazioni risultanti dalle verifiche periodiche sulla situazione gestionale dei SPL ex art. 30 del Decreto di riordino.

Con l’intenzione di realizzare la massima trasparenza in tutte le ipotesi di affidamento senza procedura ad evidenza pubblica di importo superiore alle soglie di rilevanza europea in materia di contratti pubblici (compresi i settori del trasporto pubblico locale e della distribuzione dell’energia elettrica e del gas naturale), il contratto di servizio, strumento che regola i rapporti fra enti locali e i soggetti affidatari del servizio pubblico, è stipulato decorsi sessanta giorni dall’avvenuta pubblicazione della deliberazione di affidamento della società in house sul sito dell’ Autorità nazionale anticorruzione (ANAC) (art. 17 comma 3 del Decreto di riordino).

In particolare, nelle ipotesi relative ai servizi a rete, alla deliberazione di affidamento è allegata un piano economico – finanziario contenente, su base triennale e per tutta la durata di affidamento del servizio, la proiezione dei costi e dei ricavi, degli investimenti e dei relativi finanziamenti nonché la specificazione dell’assetto economico – patrimoniale della società (capitale proprio – ed indebitamento). Tale piano deve essere asseverato da un istituto di credito, o da una società di servizi iscritta all’albo degli intermediari finanziari, o da una società di revisione, o da revisori legali (art. 17 comma 4 del Decreto di riordino).

In quanto pubbliche amministrazioni, gli enti locali effettuano annualmente, con proprio provvedimento, un'analisi dell'assetto complessivo delle società in cui detengono partecipazioni, dirette o indirette, predisponendo, ove ricorrano i presupposti normativi, un piano di riassetto per la loro razionalizzazione, fusione o soppressione, anche mediante messa in liquidazione o cessione. (cfr. art 20 del decreto legislativo 175 del 2016). In sintesi, e con una previsione che riteniamo positiva per il sistema dei SPL, gli enti locali devono dare conto delle ragioni che, sul piano economico e della qualità dei servizi, giustificano il mantenimento dell’affidamento a società in house, anche in relazione ai risultati conseguiti nella gestione (art. 17 comma 5 del Decreto di riordino).

 

3.2 Altri aspetti riguardanti la gestione dei Servizi Pubblici Locali di rilevanza economica a rete: durata dell’affidamento, subentro del nuovo gestore, tutele sociali e gestione degli asset.

 

Prima di affrontare l’importante tema del rapporto che intercorre tra l’ente affidante e il soggetto affidatario del servizio e i profili ad esso contigui, vediamo in questa sezione altri aspetti fondamentali della gestione dei SPL cha vanno, dalla durata dell’affidamento fino al regime del subentro del nuovo gestore, passando per le tutele sociali e la gestione delle reti, degli impianti e delle altre dotazioni patrimoniali.

Fatto salvo quanto previsto dalle discipline settoriali, la durata dell’affidamento è fissata dall’ente locale in funzione della prestazione richiesta e in proporzione all’entità e alla durata degli investimenti proposti dall’affidatario, in misura non superiore al periodo necessario ad ammortizzare gli investimenti previsti in sede di affidamento ed indicati nel contratto di servizio. Quando la durata dell’affidamento è inferiore al tempo necessario ad ammortizzare gli investimenti indicati nel contratto di servizio o, in caso di cessazione anticipata, al gestore uscente è riconosciuto un indennizzo a carico del subentrante.[15] Le modifiche durante il periodo di efficacia, la cessazione anticipata e la risoluzione del rapporto contrattuale sono consentite nei limiti del diritto dell’Unione europea e della disciplina dei contratti pubblici. È sempre fatto salvo il potere dell’ente affidante di risolvere anticipatamente il rapporto in caso di grave inadempimento agli obblighi di servizio pubblico e alle obbligazioni previste dal contratto di servizio. (cfr. art 27 TUSPL).

L’articolo 20 del Decreto legislativo n. 201/2022, affronta l’argomento assai delicato delle tutele sociali, disponendo che i bandi di gara e le deliberazioni di affidamento in house del servizio, assicurano, nel rispetto del principio di proporzionalità, la tutela occupazionale del personale impiegato nella precedente gestione, anche mediante l’impiego di apposite clausole sociali, secondo la disciplina in materia di contratti pubblici.

Bisogna constatare che le imprese pubbliche molto spesso hanno organici in esubero, presentano un alto impiego di forza lavoro dato che rispondono a logiche politiche anziché a criteri strettamente manageriali. D’altra parte, è acquisito che le esternalizzazioni hanno un impatto negativo sui livelli occupazionali, un effetto che tende però a sfumare nel lungo periodo.

Quello della tutela occupazionale è un tema controverso, in particolare nel caso di outsourcing, perché realmente vengono travisati i termini della questione: davanti ad assunzioni pilotate da criteri politici e clientelari non si può parlare di vera occupazione. Livelli artificiosi di occupazione non corrispondono in alcun modo alla forza lavoro necessaria ad una gestione efficiente del servizio, ne consegue che, il reale fabbisogno occupazionale del soggetto incaricato della gestione del SPL dovrebbe essere, ragionando in una prospettiva pro – mercato, quello che scaturisce dall’esercizio della libertà manageriale di organizzare i fattori produttivi. Come si può imporre al gestore entrante di accollarsi automaticamente le scelte fortemente antieconomiche effettuate sul personale dalla precedente gestione?

Sarebbe invece appropriato che la politica rimanesse nel suo ambito di competenza e si assumesse la responsabilità di gestire i danni che essa stessa ha generato con assunzioni artificiose ed ingiustificate. Per gestire gli esuberi occupazionali si dovrebbe programmare, mediante ammortizzatori sociali (altro costo per la collettività), la fuoriuscita non traumatica dei lavoratori e il loro reinserimento nel mercato del lavoro grazie anche ad iniziative di riqualificazione professionale.

L’articolo 21 del Decreto di riordino si occupa invece dell’individuazione delle reti, degli impianti e delle altre dotazioni patrimoniali essenziali alla gestione del servizio (asset infrastrutturali). Tale identificazione è di competenza degli enti a cui è attribuita l’organizzazione del SPL e avviene alternativamente in due momenti distinti:

1.          in sede di affidamento della gestione del servizio;

2.      in sede di affidamento della gestione delle reti, degli impianti e delle altre dotazioni quando questa è separata dalla gestione del servizio.

Inoltre, la regola vuole che gli asset infrastrutturali siano destinati alla gestione del servizio pubblico per l’intero periodo di utilizzabilità fisica dei beni e che gli enti locali non ne possono cedere la proprietà. Nel rispetto delle discipline di settore, la gestione delle reti, degli impianti e delle altre dotazioni patrimoniali essenziali può essere affidata separatamente dalla gestione del servizio, garantendo l’accesso equo e non discriminatorio alle reti, agli impianti e alle altre dotazioni patrimoniali essenziali a tutti i soggetti legittimati all’erogazione del servizio.

Nel caso sia separata dalla gestione del servizio, la gestione degli asset infrastrutturali è affidata dagli enti competenti secondo le modalità previste dall’articolo 14, comma 1 che ricordiamo qui di seguito:

a)      affidamento a terzi mediante procedura ad evidenza pubblica;

b)     affidamento a società mista;

c)      affidamento a società in house.

L’ultimo comma dell’articolo 21 prevede l’ipotesi in cui gli enti locali, anche in forma associata, possono conferire la proprietà degli asset infrastrutturali a società a capitale interamente pubblico incedibile. Tali società sono tenute a mettere le reti, gli impianti e le altre dotazioni patrimoniali a disposizione, dei soggetti incaricati della gestione del servizio o, qualora siano separate la gestione del servizio e la gestione degli asset infrastrutturali, ai soggetti incaricati della gestione della rete, a fronte di un canone stabilito dalla autorità competente. È applicabile a tali fattispecie il modello di gestione in house.[16]

Alla scadenza naturale dell’affidamento o in caso di cessazione anticipata, all’esito del nuovo affidamento il nuovo gestore vanta un diritto di accesso alle infrastrutture e subentra nella disponibilità delle reti, degli impianti e delle altre dotazioni patrimoniali essenziali per lo svolgimento del servizio (art. 23).

Come si può osservare da quanto appena riportato, il ruolo dei soggetti afferenti alla sfera pubblica per quanto riguarda le reti e le altre dotazioni patrimoniali essenziali per l’erogazione del servizio (individuazione degli asset infrastrutturali, possibilità di affidamento in house della gestione dei beni patrimoniali ed eventuale conferimento della proprietà delle reti degli impianti e delle altre dotazioni patrimoniali a società a capitale interamente pubblico incedibile) è tutt’altro che trascurabile. In pratica, il legislatore ha optato per risolvere la questione dell’accesso alle infrastrutture essenziali per la gestione delle public utilities, combinando il mantenimento della proprietà di tali asset in mano pubblica con l’intervento delle autorità regolatorie competenti che fissano il canone per la fruizione delle infrastrutture da parte dei soggetti interessati. Questo assetto non fa altro che dare sostanza alla tesi secondo cui, almeno per quel che concerne il segmento della gestione dei SPL, il TUSPL poteva fare di più e concedere un maggiore spazio per favorire le forze di mercato rafforzando l’affidamento a terzi mediante gare ad evidenza pubblica.

 

3.3  Il contratto di servizio e la Carta dei servizi nei Servizi Pubblici Locali: artt. 24 e 25 del TUSPL

Il contratto di servizio è lo strumento giuridico che disciplina i rapporti tra enti affidanti e soggetti affidatari del servizio pubblico (nonché dei rapporti che si instaurano nella gestione degli asset infrastrutturali) avendo riguardo per un ampio ventaglio di condizioni relative all’erogazione del servizio e le relative prestazioni offerte. Il contratto di servizio, nei casi di ricorso a procedure a evidenza pubblica è redatto in base ad uno schema allegato alla documentazione di gara e contiene previsioni dirette ad assicurare, per tutta la durata dell’affidamento, i seguenti obiettivi:

1.      L’assolvimento degli obblighi di servizio pubblico.

2.      L’equilibrio economico – finanziario della gestione secondo criteri di efficienza.

3.      La promozione del progressivo miglioramento dello stato delle infrastrutture.

4.      La qualità delle prestazioni erogate.

Secondo il terzo comma dell’art. 24, il contratto di servizio, salvo quanto previsto dalle discipline di settore, contiene clausole relative almeno ai seguenti aspetti:

a)      il regime giuridico prescelto per la gestione del servizio;

b)     la durata del rapporto contrattuale;

c)      gli obiettivi di efficacia e di efficienza nella prestazione dei servizi, nonché l’obbligo di raggiungimento dell’equilibrio economico – finanziario della gestione;

d)     gli obblighi di servizio pubblico;

e)      le condizioni economiche del rapporto, incluse le modalità determinazione di eventuali compensazioni economiche a copertura degli obblighi di servizio pubblico e di verifica dell’assenza di sovracompensazioni;

f)      gli strumenti di monitoraggio sul corretto adempimento degli obblighi contrattuali, compreso il mancato raggiungimento dei livelli di qualità;

g)     gli obblighi di rendicontazione ed informazione nei confronti dell’ente affidante o di altri enti di controllo e monitoraggio delle prestazioni con riferimento:

·        Agli obiettivi di efficacia ed efficienza.

·        Ai risultati economici e gestionali;

·        Ai livelli quantitativi e qualitativi.

h)     la previsione delle penalità ed ipotesi di risoluzione del contratto in caso di grave e ripetuta violazione degli obblighi contrattuali o di altri inadempimenti che precludono la prosecuzione del rapporto;

i)       l’obbligo di mettere a disposizione i dati e le informazioni utili alle successive procedure di affidamento;

j)       le modalità di risoluzione delle controversie con gli utenti;

k)     le garanzie finanziarie e assicurative;

l)       la disciplina del recesso e delle conseguenze derivanti da ogni ipotesi di cessazione anticipata dell’affidamento, nonché i criteri per la determinazione degli indennizzi;

m)   L’obbligo del gestore di rendere disponibili all’ente affidante i dati acquisiti e generati nella fornitura dei servizi agli utenti;

n)     Per i servizi resi su richiesta individuale:

·        Struttura, livelli e modalità di aggiornamento delle tariffe e dei prezzi a carico degli utenti;

·        Indicatori qualitativi e quantitativi delle prestazioni da erogare relativi ad obiettivi di miglioramento inclusi gli obiettivi di miglioramento per l’accesso al servizio delle persone diversamente abili;

·        Indicazione delle modalità per proporre reclamo nei confronti dei gestori con riguardo anche dei tempi di comunicazione degli esiti agli utenti;

·        Modalità di ristoro dell’utenza nei casi di violazione dei livelli qualitativi del servizio e delle condizioni generali del contratto.

Al contratto di servizio vanno in ogni caso allegati documenti di massima importanza come: il programma degli investimenti, il piano economico – finanziario e, per i servizi a fruizione individuale, il programma di esercizio.

Inoltre, la determinazione dei rapporti tra ente affidante e gestore del servizio in via negoziale va raccordata con la redazione e l’aggiornamento della Carta dei servizi, atto a cura del gestore del SPL dove vengono esplicitate la composizione della tariffa, il livello effettivo di qualità e quantità dei servizi offerti, il livello annuale degli investimenti effettuati e la loro programmazione fino al termine dell’affidamento con modalità che assicurino la comprensibilità dei relativi atti e dati sempre nel rispetto delle regole sui segreti commerciali e le informazioni confidenziali delle imprese, vedi art 25 TUSPL.

In particolare, va ulteriormente ribadito come, l’articolo 2, comma 461, lettera a), della Legge 24 dicembre 2007, n. 244 – Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (legge finanziaria 2008) prevede un impegno puntuale per gli enti locali che, al fine di tutelare i diritti dei consumatori e degli utenti dei servizi pubblici locali e di garantire la qualità, l'universalità e l'economicità delle relative prestazioni, in sede di stipula dei contratti di servizio, sono tenuti ad obbligare il soggetto gestore all’emanazione di una "Carta della qualità dei servizi", da redigere e pubblicizzare in conformità ad intese con le associazioni di tutela dei consumatori e con le associazioni imprenditoriali interessate, anche le modalità di accesso alle informazioni garantite, quelle per proporre reclamo e quelle per adire le vie conciliative e giudiziarie nonché le modalità di ristoro dell'utenza, in forma specifica o mediante restituzione totale o parziale del corrispettivo versato, in caso di inottemperanza.

 

3.4  I profili tariffari dei Servizi Pubblici Locali, l’art. 26 del TUSPL

 

Nell’individuazione dei prezzi dei servizi intervengono nell’ordine, le autorità di regolazione, quanto disposto dalle normative di settore e, soprattutto, gli enti che affidano il servizio che definiscono le tariffe in misura tale da assicurare:

a)      l’equilibrio economico – finanziario dell’investimento e della gestione;

b)     il perseguimento di recuperi di efficienza che consentano la riduzione dei costi a carico della collettività.

Il tutto dovrebbe trovare un complesso equilibrio, un’armonia con gli obiettivi di carattere sociale, di tutela dell’ambiente e di uso efficiente delle risorse, tenendo conto della legislazione nazionale e del diritto dell’Unione europea in materia. L’articolo in esame va ancor di più nel dettaglio dettando i criteri per la determinazione delle tariffe:

1.      correlazione tra costi efficienti e ricavi finalizzata al raggiungimento dell’equilibrio economico finanziario della gestione, previa definizione e quantificazione degli oneri di servizio pubblico e degli oneri di ammortamento tecnico – finanziario;

2.      equilibrato rapporto tra finanziamenti raccolti e capitale investito;

3.      valutazione dell’entità dei costi efficienti di gestione delle opere, tenendo conto anche degli investimenti e della qualità del servizio;

4.      adeguatezza della remunerazione del capitale investito, coerente con le prevalenti condizioni di mercato.

Sempre in rispetto di quanto disposto dalle discipline settoriali, gli enti che affidano il servizio possono prevedere tariffe agevolate per categorie specifiche di utenti che versino in condizioni di disagio socioeconomico o diversamente abili. Per quanto riguarda le modalità di aggiornamento delle tariffe queste vengono fissate dagli enti che affidano il SPL, allo scopo di favorire il graduale miglioramento della qualità ed efficienza dei servizi, seguendo, di norma, il metodo del “price cap” (limite massimo per la variazione dei prezzi) in funzione dell’inflazione programmata, di eventuali nuovi investimenti effettuati, di obiettivi per recuperi di efficienza e qualità. (cfr. art 26, terzo e quarto comma).

Sulla regolazione tariffaria ci sarebbe molto da dire, ad iniziare dal fatto che, il metodo del price – cap, non è certo l’unico tra gli strumenti di regolazione delle public utilities con cui si tende, tra l’altro, a tutelare l’utenza da operatori che erogano i servizi al riparo delle pressioni concorrenziali (l’esempio classico è quello del monopolio naturale che si verifica nei servizi che si avvalgono di infrastrutture non duplicabili o la cui duplicazione sarebbe estremamente costosa). Il price – cap è un metodo di regolazione delle tariffe che si è diffuso, prima in Inghilterra, a partire dal 1984, e poco dopo negli Stati Uniti e che autorizza, per un periodo pluriennale, il gestore del servizio pubblico a disporre di una variazione annuale delle tariffe che vengono parametrate ad un tasso medio vincolato all’indice generale dei prezzi a cui va sottratto un coefficiente pari all’aumento di produttività imposto dal regolatore a beneficio dell’utenza. In estrema sintesi e con una buona dose di semplificazione, l’impresa è incentivata a ridurre i costi di produzione in quanto le viene consentito di trattenere la differenza tra il prezzo massimo fissato dall’autorità e il livello dei costi di produzione (quanto maggiore è il risparmio dei costi maggiore è il ricavo per l’impresa).[17]

 

3.5 Vigilanza, trasparenza e verifiche periodiche nell’ambito dei SPL

 

Bisogna prendere atto che il Decreto legislativo n. 201 del 2022 ha fatto uno sforzo non indifferente per rendere trasparente e leggibile l’andamento della gestione dei Servizi Pubblici Locali e per favorire gli enti competenti nell’esercizio di una puntuale vigilanza e nel controllo sulla gestione dei servizi. La vigilanza si espleta mediante un programma dei controlli finalizzato alla verifica del corretto svolgimento delle prestazioni affidate tenendo conto:

1.      della tipologia di attività;

2.      dell’estensione territoriale di riferimento;

3.      dell’utenza a cui i servizi sono destinati.

A coronamento della funzione di controllo i gestori sono obbligati a fornire all’ente affidante tutte le informazioni e i dati concernenti l’assolvimento degli obblighi contenuti nel contratto di servizio. L’inadempimento di tale obbligo informativo comporta delle penalità in capo ai gestori.

Il D.lgs. n. 201/2022 ha inserito dei meccanismi per rendere maggiormente trasparenti i risultati delle gestioni dei servizi pubblici locali, affidando agli enti il compito di appurare la sostenibilità dell’offerta dei servizi nel corso del tempo sia sotto il profilo economico – finanziario che sotto quello qualitativo nella prospettiva di soddisfazione dell’utenza.

Dunque, la situazione gestionale dei servizi pubblici locali è oggetto di verifiche periodiche da parte degli enti competenti (Comuni, Unioni o Consorzi di Comuni, Enti di governo degli ambiti territoriali ottimali, Comunità montane, isolane e di arcipelago, Province e Città metropolitane e Regioni) con popolazione superiore a 5.000 abitanti che sono obbligati a redigere una ricognizione a cadenza annuale con cui viene rilevato, per ogni servizio affidato:

1.      il concreto andamento economico;

2.      la qualità;

3.      il rispetto degli obblighi derivanti dal contratto di servizio;

4.      la misura del ricorso ad affidamenti in house.

La ricognizione deve essere sviluppata in modo analitico e tenendo conto anche degli atti e degli indicatori adottati dalle autorità di regolazione. (art 30 TUSPL). C’è da precisare che la ricognizione è contenuta in una relazione contestuale all’analisi dell’assetto delle società partecipate di cui all’articolo 20 del decreto legislativo n. 175 del 2016 e, nel caso di servizi affidati a società in house, la relazione di cui al periodo precedente costituisce appendice della relazione di cui al già menzionato articolo 20 del decreto legislativo n. 175 del 2016.

L’articolo 31 del TUSPL, si propone di rafforzare la trasparenza dei servizi pubblici locali e ricapitola gli atti fondamentali che vanno pubblicati senza indugio sul sito istituzionale dell’ente affidante e trasmessi contestualmente all’Anac, che provvede alla immediata pubblicazione sul proprio portale telematico in una apposita sezione denominata Trasparenza SPL. Gli atti interessati dalla saliente visibilità pubblica, anche attraverso la piattaforma unica della trasparenza dell’ANAC, sono i seguenti:

1.      La deliberazione di istituzione del servizio (art. 10, comma 5).

2.      La relazione sulla scelta della modalità di gestione del servizio (art. 14, comma 3).

3.      La deliberazione di affidamento in house del servizio (art 17, comma 2).

4.      La relazione sulla situazione gestionale dei servizi pubblici locali (art 30, comma 2).

Aggiornata al 31 dicembre 2024, l’ultima Relazione annuale ANAC evidenzia come siano maggiormente i Comuni e i consorzi o le unioni dei medesimi ad utilizzare il servizio trasparenza dell’anticorruzione (più del 90% delle pubblicazioni riguarda tali enti). Il servizio maggiormente affidato in assoluto tra quelli a rete è quello dei rifiuti, (23,82% degli affidamenti), seguito dal trasporto pubblico locale (5,47%), dalla distribuzione di gas naturale (0,36) e dalla distribuzione di energia elettrica (0,24%). Anche se i dati sono parziali (non tutti gli enti competenti hanno ottemperato agli obblighi di trasparenza per cui è ovvio che ci siano delle ampie zone d’ombra – si veda a tal proposito il paragrafo successivo) e riguardano tutti i servizi pubblici locali, non solo quelli a rete, l’ampia diffusione degli affidamenti diretti affiora chiaramente da questa classifica:

a)      il 44,35% corrisponde ad affidamenti a terzi mediante procedura a evidenza pubblica;

b)      il 43,50 ad affidamenti a società in house;

c)      l’8,14% ad affidamenti senza procedura a evidenza pubblica.[18]

 

4          I nodi vengono al pettine: gli interventi dell’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato in materia di ricognizioni sull’andamento dei servizi pubblici locali

 

Già nel mese di giugno 2024 e in virtù del potere ad essa riconosciuto dall’articolo 21 della legge n. 287 del 1990, l’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato (AGCM) ha provveduto a formulare delle osservazioni sull’ottemperanza da parte degli enti territoriali dell’obbligo di pubblicare le relazioni sulla situazione gestionale dei servizi pubblici locali a rilevanza economica ex art. 30, comma 2.

L’AGCM rileva come, da dicembre 2023 a maggio 2024, 1576 enti, per lo più Comuni, hanno pubblicato i documenti di ricognizione nel portale dell’Autorità Nazionale Anticorruzione (ANAC) con un tasso di ottemperanza alquanto basso e, comunque, più elevato tra le Regioni del Centro – Nord (in media 68,5%) e più basso per il Sud e le Isole (36%). L’analisi di questi documenti risulta problematica perché ha portato alla luce una serie di criticità che rendicontiamo in maniera sommaria e che vanno raggruppate nelle seguenti categorie sulla falsa riga di quanto riportato dall’Autorità:

Ricorrente e significativa carenza di informazioni

L’analisi dell’AGCM ha fatto emergere delle vistose lacune in termini informativi per quanto concerne le gestioni dei SPL, con particolare riguardo all’andamento economico – finanziario, alla soddisfazione dell’utenza e alla bontà dei risultati realmente conseguiti dai gestori. È apparso altresì carente lo sforzo degli enti affidanti nel definire le concrete azioni intraprese per colmare il divario tra risultati effettivamente raggiunti e obiettivi prefissati dalla regolazione settoriale e dai contratti di servizio. Assai limitato è stato il ricorso a processi di confronto attraverso analisi di benchmark per il miglioramento delle prestazioni aziendali. Molto interessante, alla luce della presente indagine, e particolarmente riprovevole è il fatto che le ricognizioni analizzate dall’AGCM hanno per lo più trascurato l’indicazione di quelle ragioni che, sul piano economico e della qualità dei servizi, giustificano il mantenimento degli affidamenti dei servizi a società partecipate in house, anche in relazione ai risultati conseguiti nelle gestioni, come è invece richiesto dall’articolo 17, comma 5, del Decreto legislativo n. 201 del 2022.

Criticità nella concreta gestione dei servizi

Tra le altre criticità emerse c’è l’andamento della gestione dei servizi da cui deriva una stretta relazione tra le prestazioni economiche dei gestori, la qualità del servizio e i costi riversati sull’utenza. Tutto ciò implica un rapporto di causa – effetto tra le inefficienze gestionali e l’insoddisfazione degli utenti. In questo ambito le principali criticità rilevate riguardano:

1.      L’andamento economico – finanziario dei servizi;

2.      Il rispetto degli obblighi derivanti dal contratto di servizio;

3.      L’adesione agli indicatori stabiliti in sede di regolazione;

4.      I livelli qualitativi espressi nell’erogazione dei servizi;

5.      I costi a carico dell’utenza;

6.      Gli oneri in capo all’ente affidante.

 

Durata eccessiva degli affidamenti e Illegittimo ricorso alle proroghe

Malgrado le criticità mosse dall’AGCM in questo ambito abbiano interessato per lo più (ma non solo) servizi di interesse economico generale non a rete a livello locale, vale la pena ribadire un concetto chiave nella materia: la durata degli affidamenti deve essere commisurata alla legittima esigenza di spalmare in più esercizi l’ammortamento dei costi consentendo così un recupero dei costi e un adeguata remunerazione del capitale investito. Corollario di tale principio è la proporzionalità della durata temporale degli affidamenti in considerazione di valutazioni tecniche, economiche e finanziarie.

Gli argomenti poc’anzi spiegati si ripropongono nelle ipotesi di proroghe o rinnovo degli affidamenti dei servizi, pratiche particolarmente diffuse nel settore del trasporto pubblico locale, comparto già contraddistinto per la lunga durata dei contratti di servizio (si veda ad esempio la figura delle proroghe “emergenziali” prevista dall’articolo 5, paragrafo 5, del Regolamento (CE) n. 1370/2007). La determinazione della durata degli affidamenti va rigorosamente collegata con quanto previsto dalla disciplina sui contratti pubblici che, dopo aver stabilito regole sulla durata limitata delle concessioni, insieme al criterio del recupero dei capitali investiti da parte dei concessionari, prevede un principio basilare per cui, “i contratti aggiudicati senza gara (…) non sono in nessun caso prorogabili” (art. 178 del Decreto legislativo 31 marzo 2023, n. 36).

 

Commistione tra funzioni di regolazione e funzioni di gestione

In netto contrasto con lo spirito del riordino attuato con il TUSPL risulta la situazione di fatto riferibile agli enti di ambito, in alcuni casi di servizi idrici e di servizi di gestione dei rifiuti, legittimi titolari delle funzioni di indirizzo e controllo, che detengono anche una partecipazione diretta nel capitale sociale dei soggetti incaricati della gestione dei servizi, con evidente lesione della regola della separazione delle funzioni di cui all’articolo 6, comma 2 del Decreto.

Nella casistica rilevata dall’AGCM rientra anche quella delle Regioni che detengono delle partecipazioni nelle società di gestione dei servizi sopramenzionati. In queste ipotesi la Regione, non essendo competente ad affidare il servizio, non può costituire o partecipare in una società in house finalizzata alla gestione. Si tratterebbe, infatti, di una fattispecie irregolare per mancanza del vincolo di scopo prescritto dall’articolo 4, comma 1 del Decreto legislativo 19 agosto 2016, n. 175, Testo unico in materia di società a partecipazione pubblica che così recita: Le amministrazioni pubbliche non possono, direttamente o indirettamente, costituire società aventi per oggetto attività di produzione di beni e servizi non strettamente necessarie per il perseguimento delle proprie finalità istituzionali, né acquisire o mantenere partecipazioni, anche di minoranza, in tali società. Si tratta di una disposizione molto importante perché diretta a tutelare la concorrenza da indesiderati effetti distorsivi sulle dinamiche di mercato.

Quanto fin qui esposto traccia una cornice entro cui vanno inseriti, con una soluzione di sintesi, i casi concreti analizzati dall’AGCM nell’esercizio del suo potere di segnalazione di atti che determinano distorsioni della concorrenza e del corretto funzionamento del mercato, che non siano giustificati da esigenze di interesse generale (cfr. art. 21, legge n. 287/1990). Il primo dato che salta alla vista è che, tutte le segnalazioni interessano carenze e criticità relative alla gestione di tre tipologie di servizi a rete: il servizio idrico integrato, la gestione dei rifiuti e il trasporto pubblico locale. Praticamente, tutte le tredici segnalazioni prese in esame riguardano proprio affidamenti in house sparsi per tutta la penisola (Comune di Taranto, Roma Capitale, Provincia di Imperia, Comune di Napoli, Regione Puglia, Provincia di Verona, Ente di Governo ATO Piemonte, Ente di Governo dell’Ambito Sardegna, ATO Provincia di Pavia, Ente Regionale Servizio Idrico Abruzzo, Provincia di Brescia, Comune di Palermo). Non avrebbe senso riprodurre in questa sede le specifiche carenze e tutte le criticità che integrano ogni singolo caso e, anzi, potrebbe essere più significativo e agevole per chi legge, estrapolare alcuni elementi salienti indirizzando chi volesse approfondire al Focus dal titolo Gli interventi dell’Autorità in materia di ricognizioni, contenuto nella Relazione annuale 2024 dell’AGCM dove sono disponibili le singole segnalazioni.

Ad esempio, le carenze informative riguardano aspetti fondamentali come: gli equilibri economici, i ricavi tariffari, gli obblighi di pubblico servizio, gli indicatori di soddisfazione dell’utenza, i risultati della gestione, gli oneri in capo all’ente affidante, i livelli raggiunti in termini di qualità del servizio, l’andamento della gestione, la carenza di giustificazione del mantenimento del servizio in affidamento in house, l’assenza di indici di soddisfazione dell’utenza, la durata degli affidamenti, la congruità degli investimenti e il raggiungimento degli obiettivi fissati dal contratto di servizio. È fatto interessante che la stessa Autorità ha evidenziato l’esigenza di un intervento tempestivo da parte degli enti affidanti che si trovino dinnanzi a gestioni inefficienti al fine di vagliare la possibilità di revocare gli affidamenti in house qualora tali affidamenti non siano più giustificabili dal punto di vista economico, qualitativo e degli oneri per gli enti locali.

Per quanto riguarda i servizi di igiene urbana, alcune gestioni si sono rivelate carenti nel raggiungere l’obiettivo dei volumi minimi di raccolta differenziata, talvolta al di sotto della media nazionale, oppure, nell’indicare il concreto andamento della gestione del servizio. In alcune gestioni, il servizio idrico integrato ha presentato fognature inadeguate, insufficienza dei processi di depurazione, perdite lungo la rete idrica, scarsa qualità dell’acqua, andamenti negativi della gestione, bilanci in perdita e mancato rispetto degli standard fissati dall’Autorità di Regolazione per Energia Reti e Ambiente (ARERA) in un contesto di alti costi per l’utenza.

Addirittura, ci sembra assai grave che, al momento della segnalazione dell’AGCM, fosse in fase di approvazione nella Regione Puglia un progetto di legge che prevedeva l’affidamento in house del servizio idrico fino al 31.12.2046, aggirando per legge, qualsiasi forma di confronto concorrenziale, una evenienza che salta a piè pari e in maniera arbitraria la garanzia procedimentale che àncora la scelta dell’ente affidante in favore dell’autoproduzione come fattispecie alternativa alla soluzione di mercato, che deve essere puntualmente motivata,. Nel servizio di trasporto pubblico locale, sono state registrati casi con forti perdite d’esercizio, parametri carenti relativi all’efficienza e alla qualità dei servizi (ritardi, corse non effettuate o poco frequenti, scarsa pulizia e confort dei mezzi), inadempimento degli obblighi di servizio pubblico, ricorso indiscriminato delle proroghe anche in casi di affidamenti di lungo corso. Diverse sono le posizioni assunte dall’AGCM rispetto ai singoli casi: si va dal sollecito all’ente affidante a monitorare i servizi nell’ottica di una eventuale revoca dell’affidamento fino al caso in cui si è evidenziata la mancanza di una giustificazione del mantenimento del servizio in affidamento in house, passando per un'altra fattispecie in cui è stato esplicitamente auspicato l’espletamento di una gara ad evidenza pubblica.

 

5.      Riflessioni conclusive

 

Uno dei punti emersi lungo le pagine che precedono è stato quello della difficoltà riscontrata nel reperire informazioni sulla situazione oggettiva dei servizi di pubblica utilità che vadano oltre il dato puramente normativo. È senz’altro positiva l’attività dell’ANAC che, sulla scia di quanto richiesto dal TUSPL e attraverso il portale Trasparenza SPL sta facendo emergere la variegata realtà degli affidamenti. Tuttavia, sarebbe ancora meglio se si potesse disporre di elaborazioni statistiche approfondite che si pongano come punto di partenza per un’analisi comparata basata su parametri oggettivi, sull’efficienza, l’efficacia e la qualità delle prestazioni rese mediante le tre modalità di erogazione dei servizi a rete: affidamenti diretti in house, affidamenti a terzi previa procedura ad evidenza pubblica e l’ipotesi di cooperazione attraverso il partenariato pubblico – privato.

Fortunatamente, l’operato delle autorità amministrative indipendenti (ANAC e AGCM), grazie anche all’attenzione posta dal legislatore del riordino sull’aspetto della trasparenza dei SPL, ha recentemente restituito alcuni profili di interesse, anche se a dire il vero poco incoraggianti, sulle tendenze in atto a livello gestionale dei SPL. Un approfondimento sarebbe ancora possibile se si passassero al setaccio i siti istituzionali delle autorità di regolazione dei singoli settori (Autorità di Regolazione dei Trasporti – ART e Autorità di Regolazione per Energia Reti e Ambiente – ARERA) ma, così facendo, si perderebbe di vista quella visione d’insieme a cui ci siamo impegnati con la stesura di questo paper.

Come si può apprezzare dal paragrafo precedente, abbiamo passato in rassegna aspetti sostanziali delle gestioni dei Servizi Pubblici Locali, servizi che hanno tutti un impatto reale sul vissuto delle città italiane e dei loro cittadini – utenti. Anche se risulta difficile farsi una idea di quanto sia rappresentativo il campione analizzato dall’AGCM rispetto alla totalità dei servizi pubblici resi nel Paese, è ragionevole pensare che le opacità rispetto all’operato delle amministrazioni competenti e le criticità delle gestioni dei servizi di interesse economico generale di livello locale, vadano ben oltre quanto rilevato dall’Antitrust che, continuando a vigilare sul sistema delle public utilities, potrebbe tornare a pronunciarsi sulla materia svelando, con ulteriori verifiche, altrettante problematiche e criticità.

Il criterio della trasparenza che vuole realizzare il Decreto di riordino, accendendo un faro sia sugli enti competenti che sulle imprese che gestiscono i SPL, è certamente un dato positivo. Le risultanze degli interventi dell’AGCM, con tutte le insufficienze e le problematiche emerse, dovrebbero fungere da campanello d’allarme per il cittadino comune (fruitore e finanziatore dei servizi) affinché rivendichi, con coraggio, la legittima pretesa a prestazioni migliori e accessibili a tutti che il mercato, con gli eventuali correttivi e in sintonia con lo spirito del servizio pubblico universale, è certamente in grado di procurare.

I SPL dovrebbero finalmente essere erogati, sulla base di un principio meritocratico, dai soggetti economici che dimostrino (in gare veramente contendibili, trasparenti e a concorrenza aperta, in cui vi partecipano tutti gli operatori interessati – anche quelli di provenienza europea se si vuole riconoscere la cogenza del diritto euro – unitario) di essere più di tutti gli altri, idonei a gestire i servizi secondo criteri di qualità ed efficienza, investendo nell’innovazione e nelle infrastrutture in vista di un equo e congruo ritorno economico.

Dallo scenario ideale appena delineato deriva la genuina convinzione che i soggetti che compongono quella che abbiamo individuato come la “sfera pubblica”, istituzioni politiche, le amministrazioni locali, le autorità indipendenti e gli enti di regolazione, lungi dall’essere confinati ad un ruolo di secondo piano, sono chiamati ad interpretare al meglio la loro parte e ad esercitare le loro competenze in maniera trasparente, proporzionale ed imparziale, consentendo che le migliori forze di mercato facciano la loro.

Inoltre, proprio il difetto di qualità ed efficienza in molti servizi dovrebbe essere di grande stimolo per le forze in campo che si auto percepiscono come antisistema, per portare avanti con determinazione la battaglia politica e culturale delle idee per una razionalizzazione del settore pubblico che passa inevitabilmente attraverso una sostanziale contrazione dello Stato nelle sue morbose e patologiche manifestazioni (spesa pubblica, debito pubblico, imposizione fiscale fuori controllo e proliferazione di norme, enti e procedure inutili) entro cui si inserisce a pieno titolo l’apertura dei mercati dei servizi pubblici locali.

Il fine ultimo deve essere quello di concentrare il necessario capitale politico indispensabile ad invertire la rotta e cambiare il paradigma di funzionamento dei SPL. In questo senso il Decreto legislativo n. 201 del 2022 non è affatto un punto di arrivo ma veicola qualche punto in favore della concorrenza e diversi punti deboli che tendono a diluire la sostanza delle aperture al libero mercato.

Vanno certamente apprezzati i seguenti profili: l’intenzione del legislatore dei SPL di tutelare la promozione della concorrenza e la libertà di prestazione di servizi per gli operatori economici interessati alla gestione dei SPL, l’incentivazione delle aggregazioni (anche se in una versione troppo blanda), il tentativo di attuare una compiuta separazione tra le funzioni di regolazione, indirizzo, controllo, da un lato, e gestione dei servizi, dall’altro. Bene anche l’aggravio motivazionale in sede di deliberazione dell’affidamento del servizio con modalità in house se è inteso quale freno all’utilizzo indiscriminato di tale modello organizzativo. Come più volte segnalato è positivo anche lo sforzo per una maggiore vigilanza e trasparenza perseguito con l’introduzione dell’obbligo di ricognizione annuale sulla situazione gestionale dei SPL con coinvolgimento dell’ANAC. Certo è che si tratta di aspetti tutti da valutare soprattutto in sede di concreta applicazione della normativa non bastando, quindi, la sola bontà dei propositi del legislatore.

Da un punto di vista pro – mercato è da identificare come principale limite della normativa il collocamento sullo stesso piano dell’autoproduzione del servizio, della esternalizzazione e della cooperazione pubblico – privato. Ad oggi il Governo in carica sembra intenzionato a continuare a favorire il mercato solo in via indiretta tramite il rafforzamento della funzione di controllo, infatti, il Disegno di legge concorrenza per il 2025 dello scorso 4 giugno, vorrebbe migliorare l’efficienza e la trasparenza nella gestione dei servizi pubblici locali attraverso l’imposizione agli enti locali dell’obbligo di individuare le cause di inefficienze dei servizi qualificando la gestione come "insoddisfacente" se il gestore ha registrato perdite rilevanti o risultati molto inferiori rispetto agli obiettivi contrattuali e benchmark qualitativi.[19]

Il Decreto di riordino avrebbe potuto dare un maggiore slancio all’apertura dei mercati dei SPL privilegiando l’affidamento a terzi e lasciando le altre modalità in un ruolo residuale. Pensando in grande, sarebbe stato preferibile il passaggio ad un sistema dove i diritti di esclusiva, le obbligazioni di somministrazione, le clausole sociali (con cui s’impongono organici sovrabbondanti ai gestori entranti) e le rigide regolamentazioni delle attività fossero sostituiti da un modello aperto, retto il più possibile dalla libertà di impresa, il cui solo limite fosse rappresentato dall’esigenza di garantire il servizio universale. A dire il vero, una tale soluzione sembra molto distante dalla realtà italiana e bisogna ritenersi soddisfatti se ai profili normativi vigenti si dà una interpretazione il più incline possibile verso il libero mercato e, a tal proposito, sembra quanto mai opportuno chiedersi: sono la politica, le amministrazioni locali (corredate dalle loro statiche burocrazie), i cittadini – utenti, le istituzioni e la società in generale, definitivamente pronti per una simile evoluzione e mutamento di prospettiva?

 

6.      Le fonti consultate:

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Anac, Autorità nazionale anticorruzione, Relazione annuale 2024

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Art. 2, comma 461, lettera a) della Legge 24 dicembre 2007, n. 244 - Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (legge finanziaria 2008)

Art 35 della Legge 28 dicembre 2001, n. 448 - Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (Finanziaria 2002)

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Zilla C., Javier Milei’s Ideology and Policy



[1] Se queste sono le coordinate di diritto costituzionale entro cui si colloca l’oggetto del presente lavoro, dal canto suo, il diritto dell’Unione europea e, in particolare, i Servizi di Interesse Economico Generale (SIEG), introducono i grandi temi della libera concorrenza e del diritto antitrust (e relative deroghe), del mercato unico, dell’intervento degli Stati membri nell’economia, in via diretta, con le imprese pubbliche e, in via indiretta, attraverso gli aiuti di Stato e così via. Per ora è sufficiente rammentare che:

Gli Stati membri non emanano né mantengono, nei confronti delle imprese pubbliche e delle imprese cui riconoscono diritti speciali o esclusivi, alcuna misura contraria alle norme dei trattati, specialmente a quelle contemplate dagli articoli 18 (divieto di discriminazione in base alla nazionalità) e da 101 a 109 inclusi (norme in materia di concorrenza).

Le imprese incaricate della gestione di servizi di interesse economico generale o aventi carattere di monopolio fiscale sono sottoposte alle norme dei trattati, e in particolare alle regole di concorrenza, nei limiti in cui l'applicazione di tali norme non osti all'adempimento, in linea di diritto e di fatto, della specifica missione loro affidata” (art. 106 del TFUE).

[2] In tempi più o meno recenti l’Istituto Bruno Leoni ha messo in evidenza il rapporto annuale sulle partecipazioni pubbliche nelle imprese elaborato dall’ISTAT da cui risulta che nel 2022 è aumentato il numero delle imprese a partecipazione pubblica statale attive nei settori dell’Industria e dei Servizi (+1,5%). In controtendenza, le partecipate degli enti locali sono in diminuzione e ciò è verosimilmente dovuto alla saturazione del settore che registra ora un movimento di riflusso (-4,7% rispetto al 2021). Con le parole dell’IBL, “torna a crescere il ruolo dello Stato, legato sia al mantenimento di quote nei “campioni nazionali”, sia – ed è questa la novità – in maniera sempre più frequente nella proprietà di aziende che rischiano o la bancarotta, o l’acquisizione da parte di terzi. IBL, L’inesauribile voglia di fare degli statalisti.

[3] Confronta:

-Virgillito B. L. F., Reforms of the Public Administration under Thatcher and Reagan in the Neoliberal framework. L’autrice evidenzia come, i governi della Thatcher abbiano dato luogo a politiche di riorganizzazione del comparto statale con ricorso all’esternalizzazioni dei servizi anche nei settori dei trasporti e dell’igiene urbana.

-Edwards C., Margaret Thatcher’s Privatization Legacy.

-Parkinson M., The Thatcher Government’s Urban Policy.

[4] Cfr. Telly – Grove, The Municipal Utility and the Liberal Economic Ethic.

[5] Confronta:

-Olmastroni G., Un anno di Milei in Argentina: cosa è cambiato?

-Kleinheyer – Schnabl, Argentina: Javier Milei’s Reform Agenda from a Theoretical and Empirical Perspective

-Zilla C., Javier Milei’s Ideology and Policy

[6] Cfr. Gatto S., I servizi pubblici locali nel prisma della concorrenza, della regolazione e della gestione

[9] Per un approfondimento su tutti i principi e criteri direttivi della delega si rinvia a:

La Governance del Piano Nazionale Di Ripresa E Resilienza – Il riordino della disciplina dei servizi pubblici locali di rilevanza economica.

[10] È degno di nota come, già nel 1998, quando il processo di liberalizzazione dei SPL era in procinto ad avviarsi, autorevole dottrina giungeva alla conclusione che, nella scelta del concessionario, ma ancor prima nella individuazione delle forme di gestione dei servizi pubblici, l’amministrazione deve accogliere soluzioni conformi alle regole comunitarie sulla concorrenza”. Cavallo Perin R., La Struttura Della Concessione di Servizio Pubblico Locale.

[11] Cfr. Poutvaara P., Public-sector outsourcing. The desirability of outsourcing the provision of public services depends on their characteristics and market conditions.

[12] Il modello di cooperazione pubblico – privato è uno strumento di particolare interesse per gli enti territoriali nel caso vogliano ottenere investimenti, conoscenze e abilità provenienti dal settore privato. È stato infatti evidenziato che: “Il coinvolgimento del socio privato per il perseguimento di fini di interesse generale trova fondamento nella carenza in seno alla Amministrazione delle competenze necessarie di cui ha la disponibilità il socio privato, il quale resta operativo in ragione della specificità del ruolo che deve assumere nell’attuazione dell’oggetto sociale”. Falzini P. S., Società miste, PNRR e Servizi Economici di Interesse Generale.

[13] Come è ormai evidente in questa indagine si offrono alcune delle ragioni per cui è da preferire il ricorso al libero mercato nella gestione dei SPL anziché soluzioni organizzative che privilegino l’intervento pubblico. Per completezza riportiamo l’idea di chi invece esprime entusiasmo e fiducia verso l’in house providing inteso quale “modello in grado di garantire efficienza ed efficacia senza disperdere il patrimonio pubblico di conoscenza e competenza, conservando l’indirizzo politico dell’amministrazione a garanzia di prestazioni che siano in grado di produrre utilità sociale ed economica per cittadini e imprese”. Cuomo R. – Montanari G., In house providing: una storia di successo.

Peraltro, non manca chi è incline a ravvisare una sorta di superiorità degli affidamenti in house, quantomeno in particolari situazioni relative alla gestione, ad esempio, dei trasporti pubblici o dei rifiuti. In questi servizi di pubblica utilità, la continuità del servizio e la capacità di risposta immediata alle emergenze diventano elementi cruciali. In questi contesti, il ricorso a una gara potrebbe comportare rischi significativi, quali ritardi, interruzioni o riduzioni della qualità del servizio. L’affidamento diretto del servizio a soggetti in house sarebbe invece in grado di garantire che l’amministrazione agisca con maggiore celerità e senza le rigidità che caratterizzano i contratti con soggetti privati. Cfr. Fera L., M., L’in-house providing nel nuovo codice dei contratti pubblici: tra libertà di autoorganizzazione amministrativa e tutela della concorrenza e del mercato. A modesto parere di chi scrive, la sensazione, che andrebbe certamente sottoposta a verifica, è che gli affidamenti senza gara in generale, nonché quelli di emergenza, come anche i paventati rischi di interruzione del servizio che si risolvono in comportamenti anticoncorrenziali, siano invece delle scappatoie a cui fanno ricorso gli enti locali per mantenere a tutti i costi la gestione dei servizi nella loro sfera di competenza.

[14] L’ articolo 7 del Decreto, rubricato: Competenze delle autorità di regolazione nei servizi pubblici locali a rete, dispone che alle autorità di regolazione, nei rispettivi ambiti di competenza, spetta l’individuazione dei costi di riferimento dei servizi, lo schema tipo di piano economico – finanziario e gli indicatori dei livelli minimi di qualità dei servizi.

[15] Tale indennizzo è pari al valore contabile degli investimenti non ancora ammortizzati, rivalutato in base agli indici ISTAT, al netto degli eventuali contributi pubblici connessi agli investimenti in questione. (art. 19 TUSPL).

[16] Vale inoltre come principio generale quello dell’applicazione delle modalità previste dalla disciplina in materia di contratti pubblici per la realizzazione dei lavori connessi alla gestione della rete, degli impianti e delle altre dotazioni patrimoniali, fatta salva la possibilità di realizzare tali lavori in via diretta nel caso in cui l’affidamento abbia avuto ad oggetto sia la gestione del servizio relativo alla rete sia l’esecuzione dei lavori e il gestore sia qualificato ai sensi della normativa vigente (art. 22).

[17] Confronta:

-Vaccari S., Le tariffe dei servizi pubblici tra teoria economica e regolazione amministrativa.

-Soto Carrillo G., Regulación por precios tope.

-Stephen P. K., Principles of price cap regulation.

[18] Cfr. Anac, Autorità nazionale anticorruzione, Relazione annuale 2024. È rilevante ai fini della trasparenza dei SPL come nel sito dell’Anac è attivo il servizio di pubblicazione e consultazione della documentazione relativa agli affidamenti ed alla gestione dei servizi pubblici locali di rilevanza economica dedicato ai cittadini alle imprese e alle pubbliche amministrazioni. Questo servizio permette di reperire gli affidamenti dei servizi attraverso un sistema di ricerca per filtri e mascherine. Le ricerche restituiscono: l’ente affidante, l’inizio, la fine e l’importo del contratto, la modalità di gestione, la tipologia del servizio, la tipologia di atto (appalto o concessione) il territorio di affidamento e, in allegato il testo per intero del contratto.

[19] Il nuovo art. 31-bis introduce inoltre sanzioni pecuniarie da 5.000 a 500.000 euro in caso di omessa o incompleta ricognizione periodica da parte dell’ente pubblico. Interessante quanto previsto dal ddl concorrenza per il settore del trasporto ferroviario e su gomma a livello regionale, un comparto particolarmente refrattario all’introduzione della concorrenza. L'art. 4 prevede che: le Regioni dovranno pubblicare annualmente un calendario delle gare per i contratti in scadenza fino al 2033. Si applicano, inoltre, agli affidamenti regionali le stesse regole di trasparenza e motivazione già previste per i servizi pubblici locali (D.lgs. 201/2022). In caso andasse in porto il disegno di legge concorrenza per il 2025, entro il 2026 l’Autorità di regolazione dei trasporti (ART) emanerà linee guida per migliorare la qualità degli affidamenti.


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